Condizioni carcerarie disumane: il racconto di Ilaria Salis
La storia di Ilaria Salis, la maestra milanese di 39 anni detenuta nel carcere di Budapest, emerge prepotente e sconcertante da un memoriale che la donna ha scritto dal suo luogo di detenzione, un edificio con un passato da quartier generale della Gestapo. Il documento, anticipato da una trasmissione del Tg La7, getta luce su quelle che appaiono condizioni di vita ai limiti della sopravvivenza.
«Vestiti puzzolenti e stivali a spillo»
L’arresto di Salis, avvenuto l’11 febbraio 2023, si è subito tinto di toni grigi e umilianti. La donna racconta di essere stata “fatta spogliare” e di aver dovuto indossare “abiti malconci e puzzolenti” forniti dalla Questura, unitamente a “stivali con tacchi a spillo” di misura errata. Una situazione agghiacciante che prosegue con la descrizione di una cella invasa da “cimici da letto“, corridoi percorsi da “scarafaggi e topi“, e cinque settimane senza poter cambiare lenzuola né vestiti, fino all’arrivo di un pacco consolare.
Malnutrizione e isolamento
Ilaria Salis dipinge un quadro di grave malnutrizione. A colazione, una fetta di salume di qualità dubbia; a pranzo, brodi e zuppe “acquose” con “pezzi di carta, plastica, capelli o peli”. Frutta e verdura sono un miraggio, con la possibilità di ricevere “una o due mele alla settimana”. La cena, quando esiste, si riduce a una “scatoletta di carne o pesce”.
Una cella senza vita
La prigionia di Salis è scandita da una routine opprimente: “23 ore su 24 chiusa in una cella minuscola e senza ricambio d’aria”, con un’unica ora d’aria al giorno trascorsa in un cortile asfaltato e privo di sole. La mancanza di socialità è palpabile, e per i primi sei mesi ha dovuto vivere senza alcuna possibilità di contatto con la propria famiglia.
Condizioni igieniche precarie
Il racconto della Salis continua sottolineando la mancanza di prodotti per l’igiene personale al suo arrivo in carcere, costringendola a rivolgersi alla compagna di cella per beni primari come carta igienica e sapone. La comunicazione delle proprie necessità è resa impossibile dalla barriera linguistica e dal trasferimento in una cella singola.
Preoccupazioni per la salute
La detenuta milanese esprime forte preoccupazione per la propria salute, facendo riferimento a un nodulo che ha richiesto un’ecografia, la quale è stata effettuata con notevole ritardo e senza fornire alcun referto scritto, contrariamente alle indicazioni mediche ricevute in Italia.
Trattamento inumano alle udienze
Alle udienze, Salis descrive di essere stata trasportata in condizioni che evocano trattamenti del passato, “ammanettata e portata al guinzaglio”. Un sistema di cinghie di cuoio e catene che restringe i movimenti e impone un peso fisico non indifferente, simbolo di una detenzione che si fa carico di umiliazione oltre che di restrizione.
Comunicazione e istruzione negati
La richiesta di Salis di poter frequentare la scuola elementare per apprendere meglio la lingua ungherese è stata rigettata. Le guardie si rifiutano di usare linguaggi diversi dall’ungherese, e solo educatori e psicologi tentano di comunicare in inglese. L’unico svago possibile, un laboratorio di attività manuale, le è negato in quanto detenuta straniera.
Il memoriale si chiude con un appello ai legali italiani, riportando la rassegnazione dei difensori ungheresi di fronte a una normalità carceraria che in Italia sarebbe inconcepibile. Le parole di Ilaria Salis, intrise di sofferenza e di un’implorante richiesta di umanità, sollevano interrogativi inquietanti sulle condizioni di detenzione in Ungheria e sulla necessità di un intervento urgente delle autorità competenti.
La vicenda di Ilaria Salis, con i suoi contorni ancora oscuri e le accuse che l’hanno portata dietro le sbarre, continua a suscitare attenzione e preoccupazione, diventando simbolo di una battaglia per i diritti umani che travalica i confini nazionali.