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La devastazione di Khan Yunis: tra macerie e speranza
Il recente ritiro parziale delle truppe israeliane da Khan Yunis ha lasciato dietro di sé un paesaggio di desolazione. La città, un tempo vibrante e la seconda per dimensione nella Striscia di Gaza, oggi si presenta come un cumulo di rovine. Molti degli abitanti che avevano trovato rifugio a Rafah, sperando di poter rientrare nelle proprie abitazioni, si sono visti costretti a fare i conti con una realtà sconcertante: metà degli edifici della città è stata rasa al suolo, le infrastrutture sono inesistenti e la vita di tutti i giorni è diventata una lotta per la sopravvivenza.
Le testimonianze raccolte tra i residenti dipingono un quadro desolante. Mohammed Abu Rizzeq, un abitante di Khan Yunis, ha espressamente dichiarato a BBC News: «è meglio per noi avere una tenda sulle macerie della nostra casa, piuttosto che essere sfollati ed esiliati». Questa frase racchiude in sé il dolore di una popolazione che, nonostante tutto, non vuole abbandonare la propria terra.
Una situazione sanitaria critica
Il collasso dei servizi sanitari e di emergenza è una delle conseguenze più gravi della distruzione di Khan Yunis. I residenti sono stati costretti a convivere con l’odore insopportabile dei corpi in decomposizione, rimasti sepolti sotto le macerie per mesi a seguito dei bombardamenti. Maha Thaer, un’altra residente, ha raccontato ad Al Jazeera la devastazione delle strade, distrutte dai bulldozer, e la triste necessità di scavare per estrarre i cadaveri. Nonostante il suo appartamento sia stato semidistrutto, Thaer ha espresso il desiderio di tornarci, sottolineando come, nonostante le condizioni disastrose, rimanga preferibile alla vita in tenda.
La distruzione di Khan Yunis non ha risparmiato nemmeno le infrastrutture di base, rendendo la vita quotidiana degli abitanti estremamente precaria. La città, che un tempo pulsava di vita, ora si trova in uno stato di abbandono, con i suoi residenti che cercano disperatamente di ritrovare un senso di normalità tra le rovine.
Rafah: un rifugio precario
La vicina città di Rafah, situata al confine meridionale della Striscia di Gaza con l’Egitto, è diventata un rifugio per oltre la metà dei 2,3 milioni di abitanti della Striscia. Circondata da campi profughi, Rafah offre condizioni di vita molto dure, esacerbate dall’afflusso massiccio di sfollati. Nonostante ciò, rimane l’unica città della Striscia non ancora invasa dalle forze israeliane, considerata una roccaforte di Hamas.
Il governo israeliano, pur proponendo di radunare le persone rifugiatesi a Rafah in campi profughi situati nel sud della Striscia, non ha ancora realizzato tali strutture. Questa proposta ha sollevato numerose preoccupazioni tra la comunità internazionale, inclusi gli Stati Uniti, che hanno espresso opposizione a qualsiasi operazione militare che non preveda misure preventive per la protezione dei civili.
Un futuro incerto
Il ritiro israeliano da Khan Yunis rappresenta forse un tentativo di ridurre la densità di civili a Rafah, ma le condizioni attuali di Khan Yunis rendono improbabile uno spostamento di massa. La distruzione della città ha lasciato i suoi abitanti in una situazione di estremo bisogno, con poco più che la speranza di poter ricostruire le proprie vite dalle rovine. La comunità internazionale osserva con preoccupazione, sperando che soluzioni umanitarie possano essere rapidamente implementate per alleviare le sofferenze di chi è stato colpito da questo conflitto.
La resilienza degli abitanti di Khan Yunis e Rafah rappresenta un chiaro messaggio: nonostante la distruzione, la perdita e la disperazione, la volontà di rimanere e ricostruire non è stata infranta. Tuttavia, senza un intervento concreto che migliori le condizioni di vita e ricostruisca le infrastrutture distrutte, il futuro rimane incerto per migliaia di palestinesi che lottano quotidianamente per la sopravvivenza.