Nel contesto di una situazione geopolitica sempre più tesa, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha deciso di autorizzare il ritorno della delegazione israeliana negli Stati Uniti, nonostante le sue precedenti dichiarazioni. Questa mossa arriva in un momento delicato, in cui la comunità internazionale si trova divisa riguardo alla gestione del conflitto a Gaza e, in particolare, sull’operazione pianificata nella città di Rafah.
"Li ho richiamati per lanciare un messaggio ad Hamas", ha dichiarato Netanyahu, evidenziando la sua intenzione di proseguire con la strategia bellica nonostante le pressioni internazionali. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che chiede un cessate il fuoco immediato, sembra non aver scalfito la determinazione del governo israeliano.
La posizione degli USA e le preoccupazioni per Rafah
Gli Stati Uniti hanno espresso la loro contrarietà ad un attacco massiccio su Rafah, temendo le ripercussioni che un’azione di tale portata potrebbe avere sull’opinione pubblica globale. La città, infatti, ha visto un notevole aumento della propria popolazione a causa dell’afflusso di sfollati da tutta la Striscia di Gaza, passando da 150 mila a circa 1,5 milioni di abitanti.
Nonostante ciò, Israele sembra intenzionato a replicare le tattiche già utilizzate in altre città: circondare l’area, bombardare per poi evacuare i civili e infine procedere con l’ingresso di carri armati e pattuglie a piedi. L’obiettivo è quello di trovare i tunnel utilizzati dai miliziani di Hamas e liberare eventuali ostaggi israeliani.
La guerra si estende verso il Libano
Mentre la situazione a Rafah continua a destare preoccupazione, il conflitto sembra allargarsi anche verso il nord, al confine con il Libano. L’escalation tra Israele e la milizia sciita di Hezbollah ha visto un intensificarsi degli scontri. Solo ieri, quattro edifici civili a Rafah sono stati colpiti da bombe aeree, causando la morte di undici palestinesi appartenenti alla stessa famiglia.
Parallelamente, la risposta di Hezbollah ai bombardamenti israeliani non si è fatta attendere, con il lancio di razzi che ha causato ulteriori vittime. In questo contesto di crescente tensione, la visita della premier italiana Giorgia Meloni a Beirut acquista un significato particolare, sottolineando l’importanza della missione internazionale Unifil nel monitorare il rispetto della "linea blu" che separa Israele dal Libano.
La missione di Gallant a Washington
La permanenza a Washington del ministro della Difesa di Tel Aviv, Yoav Gallant, rappresenta un ulteriore elemento di interesse nell’analisi della dinamica tra Israele e Stati Uniti. Nonostante la "furia" iniziale di Netanyahu, Gallant sembra aver mantenuto una linea di condotta volta a rafforzare i legami con l’alleato americano, forse anche in funzione di una futura strategia politica interna.
La sua presenza negli USA, infatti, viene interpretata da alcuni come il tentativo di offrirsi come alternativa politica a Netanyahu, specialmente in vista delle controversie sul servizio militare per gli ebrei ultraortodossi. Allo stesso tempo, secondo quanto riportato da Haaretz, l’obiettivo principale di Gallant sarebbe quello di accelerare la fornitura di munizioni "made in Usa", fondamentali per continuare la lotta contro Hamas e prepararsi a un’eventuale escalation con Hezbollah.
La complessità della situazione in Medio Oriente, quindi, continua a rappresentare una sfida significativa per la diplomazia internazionale, con Israele che, nonostante le pressioni esterne, sembra determinato a perseguire la propria strategia di difesa e offensiva.