L’8 marzo e le sofferenze delle donne ebree
In un contesto in cui si parla di violenze di genere e soprattutto di violenze perpetrate nei confronti delle donne, emerge una voce critica che sottolinea non solo l’importanza di porre fine a tali soprusi, ma anche di dare voce a tutte le vittime, comprese le donne ebree. Tamar Herzig, docente di Storia europea comparata all’Università di Tel Aviv, esperta di violenze di genere, evidenzia il silenzio che avvolge le sofferenze delle donne israeliane. Herzig sottolinea il ruolo fondamentale che i movimenti femministi dovrebbero avere nel dare voce alle vittime, senza distinzioni. Il rapporto dell’Onu, presentato da Pramila Patten, rappresentante delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti, conferma la presenza di violenze sessuali, inclusi stupri di gruppo, durante gli attacchi del 7 ottobre.
La richiesta di giustizia e riconoscimento delle sofferenze
Tamar Herzig, ancora sotto shock per quanto accaduto, sottolinea l’importanza di riconoscere le sofferenze delle donne israeliane, chiedendo un’azione decisa da parte delle associazioni femministe. La richiesta è chiara: non si possono ignorare i femminicidi di massa del 7 ottobre e le violenze sessuali sugli ostaggi. Herzig porta l’attenzione sulle vittime, sottolineando la necessità di un riconoscimento internazionale che includa tutte le donne coinvolte. Il rapporto ‘Silent cry’ evidenzia la brutalità e la sistematicità delle violenze perpetrate durante gli attacchi, con condotte che vanno dallo stupro multiplo alla mutilazione degli organi genitali.
Il documento redatto dall’associazione ARCCI offre uno sguardo dettagliato sulle pratiche sadiche impiegate, inclusa la distruzione degli organi genitali e mutilazioni estreme. Le testimonianze e le prove raccolte confermano un disegno criminale preciso e brutale, che non lascia spazio a interpretazioni superficiali. Le vittime, legate e imbavagliate, sono state soggette a una violenza inaudita, con l’intento manifesto di distruggere non solo fisicamente ma anche simbolicamente. Le pratiche descritte nel rapporto riecheggiano tristi pagine di storia, confermando purtroppo che la violenza sessuale come strumento di oppressione è ancora tristemente attuale in molti contesti.
La richiesta di giustizia e riconoscimento delle sofferenze delle donne, indipendentemente dalla loro origine etnica o nazionale, risuona come un monito contro l’indifferenza e il silenzio che spesso avvolgono tali tragedie. La violenza di genere non conosce confini e non fa distinzioni: è un male che colpisce l’intera umanità, e la sua denuncia e condanna devono essere altrettanto universali.