La zona d’interesse
di Jonathan Glazer si erge come un film che abbraccia un’atmosfera sia calma che feroce, bandando ogni romantico cliché legato all’Olocausto. In questo capolavoro, non ci sono spazi per violini lacrimosi o eroi idealizzati. Ciò che emerge è un’opera illuminata da una luce nitida e spietata, capace di scandagliare ogni dettaglio, persino l’erba che ondeggia o i fiori che sbocciano.
Un’Immersione nell’Alienante e nel Reale
Attraverso l’utilizzo magistrale di una telecamera termica per immagini notturne, Glazer conduce lo spettatore in un territorio alienante. Le scene in cui una giovane donna dispone frutti nella notte, potenziali viveri per prigionieri, risultano straordinariamente innaturali, accentuate da una colonna sonora violenta. Questo contrasto tra gesti di benevolenza e atmosfere cupe contribuisce a rendere il film ancora più straniante e alieno.
Lukasz Zal, direttore della fotografia, regala alla pellicola un aspetto kubrickiano nella nitidezza delle immagini, sottolineando l’attualità della narrazione. Gli abiti dei personaggi, privi di quell’usura che spesso caratterizza i costumi d’epoca, si presentano anch’essi netti e senza tempo. In questo contesto senza nebbia, senza passato, l’azione si svolge nell’oggi, trasmettendo un senso di immediata pertinenza.
La Reale e Inquietante Verità Raccontata
In un’ambientazione che ricorda un Grande Fratello, Glazer dirige gli attori lasciando loro libertà d’azione, quasi come fossero osservati costantemente. Le parole dell’attrice Sandra Hüller, nei panni della moglie di Höss, rivelano un orrore sottile e insidioso. ‘Mi chiamano la regina di Auschwitz!’, una frase pronunciata con leggerezza infantile, o il sibilo minaccioso verso una donna ebrea, mostrano un’ideologia nazista interiorizzata, non dichiarata.
La rappresentazione di Rudolf e Hedwig come borghesi tranquilli, che ignorano o fingono di ignorare l’orrore circostante, riflette una realtà universale. Questi personaggi incarnano la capacità umana di voltare le spalle alla sofferenza, un comportamento che, sebbene situato nel passato, risuona potente nell’odierno scenario globale. ‘La zona d’interesse’ diventa così uno specchio impietoso delle nostre società contemporanee, incapaci di confrontarsi con le atrocità che accadono dietro il muro del silenzio.
A dieci anni di distanza da ‘Under the Skin’, Glazer offre un’opera sconcertante e necessaria, il cui impatto risiede nell’assenza di retorica e nell’immersione nella quotidianità distorta dell’orrore nazista. In un’epoca segnata da un crescente oscurantismo e tolleranza verso violenze totalitarie, questo film si rivela un monito urgente sulle conseguenze dell’indifferenza e sulla necessità di guardare oltre il giardino, là dove si nascondono i fantasmi del passato e le minacce del presente.
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