Il cult di ‘Berlinguer ti voglio bene’
Tutto su Berlinguer ti voglio bene – Ma perché Cioni era così invaghito del Segretario del Partito Comunista Italiano? La domanda ci perseguita dal lontano 1977. E stasera in tv, forse, avremo la risposta. Quando, cioè, Roberto Benigni proverà a rispondere parlando del suo film Berlinguer ti voglio bene come ospite d’eccezione di Corrado Augias nella sua trasmissione La torre di Babele. In onda alle 21.15 su La7.
A seguire, per la prima volta sarà trasmessa la versione integrale del film scritto e diretto da Giuseppe Bertolucci e di cui il comico toscano è mattatore indiscusso. Una serata, quella dedicata a Benigni da La7, che è un salto indietro nel tempo per raccontare una pellicola diventata cult. E che è entrata nel dibattito politico e culturale della fine degli anni 70 senza mai più uscirne.
Il ritratto di Cioni Mario
Si parte con il ricordo di Walter Veltroni, che fa un ritratto dei 40 anni vissuti da personaggio pubblico di Enrico Berlinguer. Che si muoveva tra la politica, la cultura e la società di una Paese in profondissima evoluzione. Poi tocca a Roberto Benigni scavare nei suoi ricordi personali. Con al centro un film di quelli che è impossibile dimenticare. E un personaggio – quel Cioni Mario rimasto indelebile nella nostra memoria – convinto che solo Berlinguer salverà lui e quelli come lui dai problemi.
Prima di diventare il personaggio di un film, il Mario Cioni è il protagonista del monologo che l’allora giovane sceneggiatore Giuseppe Bertolucci – fratello del ben più celebre Bernardo (e figlio del poeta Attilio) – ha scritto per un monologo teatrale. Con Cioni Mario di Gaspare fu Giulia, Roberto Benigni ottiene un grandissimo successo in tutti i teatri italiani.
La controversa genesi di un cult
Siamo nel 1975 e il personaggio del contadino toscano sboccato, irriverente e cinico è un graffio che lascia il segno. C’è molto di autobiografico in Cioni Mario (si dà un tono a mettere prima il cognome!). Benigni lo cuce su di sé portando agli estremi le caratteristiche della sua comicità: una gestualità marcata, un modo di parlare anarchico, pieno di parolacce e di battute sessuali, lo sguardo innocente della fanciullezza che sfocia nella vena poetica surreale e malinconica.
La storia di Berlinguer ti voglio bene ha dell’incredibile. Girato in soli 28 giorni tra maggio e giugno 19787 nelle campagne attorno a Prato, è uscito nelle sale il 6 ottobre 1977 in pochissime copie e solo al Centro-Nord. Il film viene subito vietato ai minori di 18 anni. Perché il linguaggio scurrile (ma quelle che per noi sono parolacce impronunciabili, per un toscano sono innocui intercalari…), è giudicato troppo dissacrante e disturbante per le sensibili orecchie dei più giovani.
Se a questo si aggiunge la censura preventiva fatta in tv, dove non se ne parla, è facile immaginare il flop al botteghino. Bisognerà aspettare il 1988 prima che il film venga distribuito nuovamente, al cinema e in cassetta. Ma in una versione accorciata di circa 5 minuti (viene tagliato il monologo in campagna di Cioni). Per avere la versione integrale della pellicola del 1977 è stato necessario attendere fino al 2006.
Eppure non ci ha messo molto a diventare un film cult. Controcorrente e poetico come pochi, Berlinguer ti voglio bene è un film invecchiato benissimo. Perché ha saputo raccontare – con cinismo e una buona dose di bestemmie – quello che non vogliamo mai vedere. Chi siamo noi cresciuti in mezzo a una campagna che sta scomparendo, circondati da case popolari, cantieri e in una provincia dai confini sempre più stretti.