I funerali dei soldati: una sfida immensa per i sacerdoti ucraini
«Per noi la Pasqua non è solo una tradizione o una festa. Per noi la Pasqua è tutto. E finché celebreremo e vivremo la Pasqua e la Risurrezione in questo modo, sono sicuro che nemmeno la morte avrà accesso a noi», queste parole di don Roman Mykievych, parroco greco-cattolico di Tysmenytsia, nell’arcieparchia di Ivano-Frankivsk, risuonano come un messaggio di speranza in un paese devastato dalla guerra.
La consapevolezza che la Pasqua rappresenti il centro della vita cristiana è sempre stata presente tra i credenti in Ucraina, ma con il conflitto in corso è diventata una vera e propria ancora di salvezza per affrontare la morte di tante persone, tra civili e militari.
Il ruolo cruciale dei sacerdoti durante i funerali
Per i sacerdoti ucraini, i funerali dei militari caduti in guerra sono una delle sfide più grandi. Don Roman, che guida un decanato di 17 parrocchie, racconta: «Pensate che su diciassette parrocchie qui solo una non ha avuto nessun funerale di soldati che hanno perso la vita al fronte. Tutte le altre hanno avuto funerali, alcune più di dieci. Qui, a Tysmenytsia, nella mia parrocchia, ho avuto cinque funerali di soldati e nel nostro decanato ce ne sono già stati fino a una trentina».
Per dare sostegno alle famiglie nella tragedia, si cerca di organizzare i funerali nel modo più solenne possibile, con la partecipazione di militari, autorità locali e tutti i sacerdoti del decanato. «Si tratta di esperienze e perdite molto difficili – spiega don Roman – ed è molto importante dare il sostegno spirituale alle famiglie. Questo sostegno inizia proprio con il funerale, con la presenza di un sacerdote».
Il valore della presenza del sacerdote
La presenza del sacerdote al funerale è di fondamentale importanza. Don Roman evidenzia come non sia la stessa cosa se un sacerdote arriva solo in seguito per proporre sostegno: «A loro non serve nulla: hanno perso i loro cari, quello che avevano di più prezioso, e non si può consolarli con nient’altro. Non si può rimediare con un qualche tipo di aiuto materiale, anche se questo può essere importante, ma di questo si occupa lo Stato. Un sacerdote invece deve dare alle persone la *forza di vivere*».
Le persone spesso perdono la voglia di vivere, si sentono depresse e senza prospettive. La presenza di un sacerdote può fare la differenza, aiutando a ritrovare la forza di andare avanti. «Qui da noi i sacerdoti godono di autorevolezza, nel nostro Paese il sacerdote è il primo psicologo. Se chiedete a una famiglia che ha perso un figlio o un marito: “Con chi vorreste parlare? Da chi volete ricevere consolazione?”, probabilmente risponderebbero: “Dal nostro sacerdote”».
Le difficoltà emotive dei sacerdoti
I funerali dei soldati sono un’esperienza molto difficile anche per i sacerdoti stessi. Don Roman, come decano, presiede tutti i funerali nel suo decanato: «Quando ti trovi davanti a un corpo senza vita di un ragazzo, pensi che forse tu avresti dovuto essere lì. Ti rendi conto che se quell’uomo non avesse combattuto, chissà se tu saresti ancora qui, a vivere e a camminare su questa terra».
Don Roman sottolinea che senza l’Eucarestia quotidiana e la preghiera non sarebbe in grado di affrontare queste situazioni. L’aiuto reciproco tra i sacerdoti è essenziale: «Quando siamo in tanti è più facile, perché ci sosteniamo a vicenda. Ci sono stati momenti in cui, ad esempio, la mamma di un soldato defunto si è sentita male durante un funerale. Quindi è arrivata un’ambulanza, i medici hanno prestato immediatamente soccorso. Abbiamo sospeso per un po’ il funerale e i seminaristi hanno iniziato a cantare canzoni religiose per aspettare che la madre si riprendesse».
La collegialità tra sacerdoti
In questi momenti, la collegialità e l’ecclesialità diventano cruciali. Un sacerdote ha bisogno di sentire il sostegno concreto degli altri sacerdoti e della Chiesa. «Quando c’è un funerale di un nostro militare, il sacerdote della parrocchia scrive nel nostro gruppo social e chiede ai sacerdoti del decanato: “Cari confratelli, venite, per favore, a sostenere me e la famiglia del soldato caduto”. Perché se il sacerdote fosse lasciato solo a un funerale del genere, sarebbe molto difficile per lui».
Don Roman ricorda un’esperienza personale: «Quando è morto il mio vicino di casa. Quando ho presieduto funerali di soldati nei villaggi vicini, non li conoscevo personalmente, ma qui nella mia parrocchia, quando hanno portato dal fronte il mio vicino… lo conoscevo da molti anni, lo vedevo sempre… E in quel momento ti arriva una grande tristezza, durante la predica la voce cambia, ti viene da piangere perché vedi una persona familiare in quella bara».
La Pasqua, ancora di salvezza
In questo contesto, la celebrazione della Pasqua diventa il centro della vita. «Per noi la Pasqua non è solo una tradizione o una festa. Per noi la Pasqua è tutto. Qui – sottolinea don Roman – non abbiamo bisogno di spiegare alla nostra gente cosa sia la Pasqua. Per loro è l’apice di tutto, è sacro».
Prima della Pasqua, molta gente va anche a confessarsi. Questo evento della Pasqua e della Risurrezione è molto serio per il popolo ucraino. «Penso che questo ci stia salvando, sia psicologicamente, ma anche realmente, da ogni sorta di guaio. Perché dove c’è Cristo risorto, la morte fugge. E penso che la morte non abbia accesso a noi e non abbia potere finché viviamo davvero la Pasqua».