La Pasqua in Ucraina: Un Faro di Speranza
«Per noi la Pasqua non è solo una tradizione o una festa. Per noi la Pasqua è tutto. E finché celebreremo e vivremo la Pasqua e la Risurrezione in questo modo, sono sicuro che nemmeno la morte avrà accesso a noi», dice don Roman Mykievych, sacerdote greco-cattolico ucraino e parroco di Tysmenytsia nell’arcieparchia di Ivano-Frankivsk, nell’ovest dell’Ucraina. Questa festa, che una parte dei cattolici orientali celebra quest’anno il 5 maggio assieme ai cristiani ortodossi, è diventata centro della vita cristiana in Ucraina, specialmente durante la guerra.
La consapevolezza che la Pasqua rappresenti un momento cruciale è sempre stata presente tra i credenti in Ucraina, ma il conflitto in corso ha reso questa celebrazione un’ancora di salvezza per affrontare la perdita di tante vite, sia tra i civili che tra i militari. La guerra iniziata il 24 febbraio 2022 ha portato i sacerdoti ucraini a fronteggiare sfide immense, tra cui i funerali dei soldati caduti in battaglia.
Funerali Militari: Un Momento di Grande Prova
Don Roman, che guida il decanato che riunisce 17 parrocchie, racconta: «Pensate che su diciassette parrocchie qui solo una non ha avuto nessun funerale di soldati che hanno perso la vita al fronte. Tutte le altre parrocchie hanno avuto funerali, alcune ne hanno avuti più di dieci. Qui, a Tysmenytsia, nella mia parrocchia, ho avuto cinque funerali di soldati e nel nostro decanato ce ne sono già stati fino a una trentina».
Per sostenere le famiglie colpite dalla tragedia, si cerca di organizzare i funerali nel modo più solenne possibile. Partecipano i militari, rappresentanti delle autorità locali e tutti i sacerdoti del decanato. «Si tratta di esperienze e perdite molto difficili – spiega il sacerdote – ed è molto importante dare sostegno spirituale alla famiglia. Questo inizia proprio con il funerale, con la presenza di un sacerdote. Quando sei stato al funerale, hai accompagnato la famiglia nell’ultimo saluto al defunto, hai guidato la processione, allora queste persone sembrano diventare la tua famiglia. Iniziano a fidarsi di più di te, si avvicinano alla Chiesa. Dopo il funerale, li incontri in città o vai a trovarli, e loro sono felici di riceverti, vogliono parlare, esprimere la loro tristezza, piangere».
Il Ruolo Cruciale dei Sacerdoti
Don Mykievych sottolinea che la presenza del sacerdote ai funerali è fondamentale. «Se un sacerdote non partecipa al funerale e arriva solo in seguito per proporre il suo sostegno e aiuto alla famiglia in lutto, a loro non serve nulla: hanno perso i loro cari, quello che avevano di più prezioso, e non si può consolarli con nient’altro. Non si può rimediare con un qualche tipo di aiuto materiale, anche se questo può essere importante, ma di questo si occupa lo Stato. Un sacerdote invece deve dare alle persone la forza di vivere. Questo è molto importante oggi: dare alle persone la forza di vivere perché la gente sta perdendo la voglia di vivere e questo si nota molto. Le persone si lamentano, alcuni dicono di essere depressi, altri di non vedere nessuna prospettiva, altri ancora di avere paura».
La Solidarietà Tra Sacerdoti
I funerali dei soldati sono un’esperienza molto difficile per i sacerdoti. Don Roman, come decano, presiede tutti i funerali nel suo decanato. Finora ce ne sono stati oltre una trentina. «Quando ti trovi davanti a un corpo senza vita di un ragazzo – osserva don Roman – pensi che forse tu avresti dovuto essere lì, ti rendi conto che se quell’uomo non avesse combattuto, chissà se tu saresti ancora qui, a vivere e a camminare su questa terra… È come se fosse andato al posto tuo, ti aveva salvato e fosse morto lui stesso. E questo sentimento è molto doloroso e con tutto ciò bisogna anche confortare gli altri, consolarli, non solo affrontare i propri sentimenti. Quindi bisogna avere la forza di fare tutto questo».
Collegialità e Sostegno Ecclesiale
Secondo don Roman, la collegialità e l’ecclesialità sono fondamentali. Non sono concetti astratti: un sacerdote ha bisogno di sentire il sostegno concreto degli altri sacerdoti, della Chiesa. «Quando c’è un funerale di un nostro militare, il sacerdote della parrocchia scrive nel nostro gruppo social e chiede sacerdoti del decanato: “Cari confratelli, venite, per favore a sostenere me e la famiglia del soldato caduto”. Perché se il sacerdote fosse lasciato solo a un funerale del genere, sarebbe molto difficile per lui. E quel sacerdote chiede anche: “Mettete le crocette chi può venire, così posso essere sicuro”. Ed è molto importante sapere per quel parroco che può contare sulla presenza degli altri sacerdoti, perché si tratta del suo parrocchiano defunto.
Lo so per esperienza personale, vissuta nel momento in cui è morto il mio vicino della casa di fronte. Quando ho presieduto funerali di soldati, per esempio nei villaggi vicini, non li conoscevo personalmente, ma qui nella mia parrocchia quando hanno portato dal fronte il mio vicino… lo conoscevo da molti anni, lo vedevo sempre… E in quel momento ti arriva una grande tristezza, durante la predica la voce cambia, in certi momenti ti viene da piangere perché vedi una persona familiare in quella bara.
La Pasqua come Faro di Speranza
In questo contesto, la celebrazione della Pasqua diventa il centro della vita. «Per noi la Pasqua non è solo una tradizione o una festa. Per noi la Pasqua è tutto. Qui noi – sottolinea don Roman – non abbiamo bisogno di spiegare alla nostra gente cosa sia la Pasqua. Per loro è l’apice di tutto, è sacro. Anche se uno non va in chiesa durante tutto l’anno, andare a venerare Plashchanytsia [ndr. l’icona raffigura Cristo dopo che è stato levato dalla croce] o far benedire paska [ndr. pane che si prepara in Ucraina per la Pasqua] è sacro. Prima della Pasqua tanta gente va anche a confessarsi. Quindi questo evento della Pasqua e della Risurrezione è un evento molto serio per il nostro popolo. Penso che questo ci stia salvando, sia psicologicamente, ma anche realmente, da ogni sorta di guaio. Perché dove c’è Cristo risorto, la morte fugge. E penso che la morte non abbia accesso a noi e non abbia potere finché viviamo davvero la Pasqua».