Speranze di tregua mentre Gaza resta sotto bombe e missili
In poche ore ieri, mentre la delegazione di Hamas giunta al Cairo discuteva con i mediatori egiziani della proposta di tregua con Israele, sono scattati violenti attacchi aerei su diverse aree di Gaza. Gli F-16 e i droni israeliani hanno sganciato bombe ad alto potenziale sul campo profughi di Nuseirat, di recente uno dei più presi di mira perché, afferma Israele, «roccaforte» di uno dei due battaglioni di Hamas nell’area centrale della Striscia. Morti e feriti sono stati estratti poco dopo in una casa in via Ahmed Yassin, nella zona di Al-Saftawi, nel nord di Gaza.
Un’altra casa è stata colpita in pieno nelle vicinanze della stazione di polizia in via Salah al Din e bombe hanno centrato la moschea di Al Fukhari, a est di Khan Younis, e le località di al Mughraqa e az-Zahra. L’artiglieria invece ha martellato le aree settentrionali di Beit Lahiya. In quelle stesse ore in Cisgiordania, a Deir al Ghusoun (Tulkarem), sono stati uccisi cinque combattenti palestinesi. Il portavoce israeliano parla di «operazione antiterrorismo». L’esercito ha imposto il coprifuoco, poi ha circondato e infine distrutto con le ruspe e lanci di razzi anticarro due abitazioni dove avevano trovato rifugio i combattenti palestinesi.
Una giornata di speranza
Questo triste concerto per cacciabombardieri, artiglieria e carri armati ha accompagnato una giornata che pure è stata definita fin dalle prime ore quella «giusta» per la tanto attesa – da oltre due milioni di civili – tregua a Gaza. Riportate prima dal giornale saudita Sharq e poi dai media israeliani e palestinesi, le indiscrezioni hanno riferito di Hamas ben disposto ad accettare la proposta egiziana per il cessate il fuoco.
Voci seguite al pressing senza sosta che gli Stati Uniti, per bocca del Segretario di stato Blinken – «tra la tregua e la popolazione di Gaza c’è solo Hamas», ha detto più volte –, l’Egitto e in parte il Qatar hanno esercitato sulla leadership politica dell’organizzazione militante palestinese.
Dettagli dell’accordo
L’accordo prevede tra i suoi punti principali la scarcerazione di un numero, che ieri sera era ancora indefinito, di prigionieri palestinesi. Ancora un giornale saudita ha ipotizzato la liberazione di Marwan Barghouti, il «Mandela palestinese», il più iconico dei detenuti politici, al quale però Israele non consentirebbe di tornare alla sua città, Ramallah, ma verrebbe costretto ad una sorta di confino a Gaza.
Le posizioni estremiste
«Come deciso dai vertici politici, l’esercito entrerà a Rafah e distruggerà i rimanenti battaglioni di Hamas», ha detto al Times of Israel un dirigente israeliano. Parole che hanno placato l’ira dei ministri dell’estrema destra, Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, che invocano una guerra infinita e che, allo stesso tempo, hanno fatto infuriare le migliaia di israeliani che ieri sera sono scesi in strada a Tel Aviv e in altre città per chiedere la chiusura dell’accordo che riporterà a casa gli ostaggi.
Le vittime del conflitto
Sullo sfondo ci sono i palestinesi di Gaza uccisi dall’offensiva di Israele scattata dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Sono 34.654 secondo gli ultimi dati del ministero della sanità. Tra di essi ci sono oltre 100 giornalisti ed operatori dell’informazione.