![La forza dei sacerdoti ucraini di fronte alla guerra: il sostegno spirituale e la presenza insostituibile 1 20240514 191918](https://masainews.it/wp-content/uploads/2024/05/20240514-191918.webp)
La forza spirituale dei sacerdoti ucraini di fronte alla guerra
«Per noi la Pasqua non è solo una tradizione o una festa. Per noi la Pasqua è tutto. E finché celebreremo e vivremo la Pasqua e la Risurrezione in questo modo, sono sicuro che nemmeno la morte avrà accesso a noi», afferma don Roman Mykievych, sacerdote greco-cattolico ucraino e parroco di Tysmenytsia, nell’arcieparchia di Ivano-Frankivsk, situata nell’ovest dell’Ucraina.
In questi tempi di grande prova, iniziati il 24 febbraio 2022, i funerali dei militari caduti in guerra rappresentano una delle sfide più grandi per i sacerdoti ucraini. Don Roman, capo del decanato che unisce 17 parrocchie, racconta: «Pensate che su diciassette parrocchie qui solo una non ha avuto nessun funerale di soldati che hanno perso la vita al fronte. Tutte le altre parrocchie hanno avuto funerali, alcune ne hanno avuti più di dieci. Qui, a Tysmenytsia, nella mia parrocchia, ho avuto cinque funerali di soldati e nel nostro decanato ce ne sono già stati fino a una trentina».
Il sostegno spirituale alle famiglie in lutto
Per dare il sostegno alle famiglie nell’affrontare la tragedia, si cerca di organizzare il funerale nel modo più solenne possibile: partecipano i militari, i rappresentanti dell’autorità locale e tutti i sacerdoti del decanato. «Si tratta di esperienze e perdite molto difficili – spiega don Roman – ed è molto importante dare il sostegno spirituale alla famiglia. Questo sostegno inizia proprio con il funerale, con la presenza di un sacerdote.»
Il sacerdote sottolinea come la partecipazione ai funerali crei un legame profondo con le famiglie. «Quando sei stato al funerale, hai accompagnato la famiglia nell’ultimo saluto al defunto, hai guidato la processione, allora queste persone sembrano diventare la tua famiglia, iniziano a fidarsi di più di te, si avvicinano alla Chiesa. Anche le persone che prima andavano raramente in chiesa, dopo la morte del figlio hanno cominciato a venire».
La presenza del sacerdote è insostituibile
Don Mykievych afferma che non è la stessa cosa se un sacerdote non partecipa al funerale e arriva solo in seguito per proporre il suo sostegno. «A loro non serve nulla: hanno perso i loro cari, quello che avevano di più prezioso, e non si può consolarli con nient’altro. Un sacerdote deve dare alle persone la forza di vivere. Questo è molto importante oggi: dare alle persone la forza di vivere perché la gente sta perdendo la voglia di vivere e questo si nota molto».
In un contesto di guerra, la figura del sacerdote assume un ruolo ancora più cruciale. «Qui da noi i sacerdoti godono di autorevolezza, nel nostro Paese il sacerdote è il primo psicologo. Se venite in una parrocchia e chiedete a una famiglia che ha perso un figlio o un marito: “Con chi vorreste parlare? Da chi volete ricevere consolazione?”, probabilmente risponderebbero: “Dal nostro sacerdote”».
La sfida dei funerali dei militari
I funerali dei soldati sono un’esperienza molto difficile per i sacerdoti. Don Roman, come decano, presiede tutti i funerali nel suo decanato. «Quando ti trovi davanti a un corpo senza vita di un ragazzo – osserva don Roman – pensi che forse tu avresti dovuto essere lì, ti rendi conto che se quell’uomo non avesse combattuto, chissà se tu saresti ancora qui, a vivere e a camminare su questa terra… Beh, è come se fosse andato al posto tuo, ti avesse salvato e fosse morto lui stesso. E questo sentimento è molto doloroso».
Il sacerdote greco-cattolico sottolinea che senza l’Eucarestia quotidiana, senza la preghiera, non sarebbe in grado di affrontare queste situazioni. «Quando siamo in tanti è più facile, perché ci sosteniamo a vicenda. Ci sono stati momenti in cui, ad esempio, la mamma di un soldato defunto si è sentita male durante un funerale. Abbiamo sospeso per un po’ il funerale e i seminaristi che erano stati invitati, hanno iniziato a cantare canzoni religiose per aspettare che la madre si riprendesse».
La collegialità tra sacerdoti
Secondo don Roman, la collegialità e l’ecclesialità sono fondamentali in questi casi. «Un sacerdote ha bisogno di sentire il sostegno concreto degli altri sacerdoti, della Chiesa. Quando c’è un funerale di un nostro militare, il sacerdote della parrocchia scrive nel nostro gruppo social e chiede sacerdoti del decanato: “Cari confratelli, venite, per favore a sostenere me e la famiglia del soldato caduto”. Perché se il sacerdote fosse lasciato solo a un funerale del genere, sarebbe molto difficile per lui».
Don Roman ricorda un episodio personale: «Quando ho presieduto funerali di soldati, per esempio nei villaggi vicini, non li conoscevo personalmente, ma qui nella mia parrocchia quando hanno portato dal fronte il mio vicino… lo conoscevo da molti anni, lo vedevo sempre… E in quel momento ti arriva una grande tristezza, durante la predica la voce cambia, in certi momenti ti viene da piangere perché vedi una persona familiare in quella bara».
La Pasqua come fonte di speranza
In questo contesto, la celebrazione della Pasqua diventa il centro della vita. «Per noi la Pasqua non è solo una tradizione o una festa. Per noi la Pasqua è tutto. Qui noi – sottolinea don Roman – non abbiamo bisogno di spiegare alla nostra gente cosa sia la Pasqua. Per loro è l’apice di tutto, è sacro. Anche se uno non va in chiesa durante tutto l’anno, andare a venerare Plashchanytsia o far benedire paska è sacro».
Prima della Pasqua tanta gente va anche a confessarsi. «Quindi questo evento della Pasqua e della Risurrezione è un evento molto serio per il nostro popolo. Penso che questo ci stia salvando, sia psicologicamente, ma anche realmente, da ogni sorta di guaio. Perché dove c’è Cristo risorto, la morte fugge. E penso che la morte non abbia accesso a noi e non abbia potere finché viviamo davvero la Pasqua».