La crisi dei rifugiati palestinesi in Libano: incertezze e proteste
La situazione nel campo profughi di Burj el-Shemali, situato a breve distanza dalla città di Tiro, in Libano, continua a destare preoccupazione tra la comunità internazionale. La realtà dei palestinesi che risiedono in questo campo è segnata da una quotidianità difficile, accentuata dalle recenti decisioni di alcuni paesi, tra cui l’Italia, di bloccare i fondi all’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dell’assistenza ai rifugiati palestinesi.
Il minibus che parte dal quartiere di Cola, a sud di Beirut, verso Tiro, riempie i suoi posti molto più lentamente del solito. Viaggiare verso il sud, in prossimità dei campi profughi, è diventato un percorso che pochi decidono di intraprendere a meno che non sia strettamente necessario. Lungo il viaggio, l’assenza di traffico nonostante l’ora di punta è un segno tangibile della situazione di isolamento in cui si trovano i rifugiati.
Unrwa in crisi: tagli e conseguenze
La condizione di stallo vissuta dai palestinesi si configura come una forma di “punizione collettiva”, secondo le parole di Abu Wassim, figura rispettata e conosciuta all’interno di Burj el-Shemali, che gestisce uno dei pochi centri per l’infanzia e l’unica scuola di musica del campo. “Tagliare i fondi vuol dire tagliare ulteriormente fuori dal mondo i palestinesi che sono nei campi”, ha dichiarato. In Libano, dove scuole e ospedali sono prevalentemente privati, l’accesso a servizi essenziali diventa quasi un miraggio per i rifugiati, che non possono permettersi tali costi.
Le proteste si sono fatte sentire martedì scorso quando circa duecento palestinesi si sono riuniti presso il quartier generale di Unrwa a Jnah, esprimendo il loro dissenso attraverso slogan come: “Bloccare i fondi mette a rischio il futuro dei rifugiati palestinesi”. La comunità internazionale è stata sollecitata a riflettere sull’impatto devastante che il blocco dei fondi potrebbe avere sulla sopravvivenza di oltre due milioni di civili a Gaza, di cui metà sono bambini.
La fragilità di una comunità in bilico
Il comunicato rilasciato dall’Unrwa mette in luce la gravità della situazione: “La sospensione dei fondi (…) avrà un impatto sulla sopravvivenza di oltre due milioni di civili, metà dei quali sono bambini, che dipendono dagli aiuti Unrwa a Gaza”. La popolazione sta affrontando fame, carestia e lo scoppio di malattie sotto i continui e indiscriminati bombardamenti israeliani e la privazione deliberata di aiuti.
Abu Wassim, con amara lucidità, sottolinea le possibili ripercussioni di tale crisi: “Se a Gaza sospendere i fondi è disumano vista la crisi in corso, in Libano, in Giordania, in Siria vuol dire fare in modo che migliaia di palestinesi a breve rimarranno senza assistenza”. Infatti, la situazione nei campi profughi in Libano è particolarmente complessa, con circa mezzo milione di palestinesi registrati, una cifra che non riflette tuttavia con precisione la realtà demografica.
Il contesto storico-politico libanese
La condizione dei palestinesi in Libano è intricata e densa di storia. Dopo gli eventi del Settembre Nero e l’espulsione dell’OLP dalla Giordania nel 1970, l’organizzazione si trasferì a Beirut, partecipando attivamente nella guerra civile libanese. Il massacro di Sabra e Shatila nel 1982, dove furono uccise circa 3500 persone tra palestinesi e sciiti, è ancora una ferita aperta nella memoria collettiva e parte della retorica di Hezbollah si fonda sul discorso della resistenza e della liberazione della Palestina.
Le restrizioni imposte ai palestinesi in Libano, che non possono acquistare case o aspirare a posizioni lavorative di rilievo, aggiunte alla crisi economica che il paese sta affrontando da oltre quattro anni, delineano uno scenario già gravemente compromesso, che rischia di essere ulteriormente esacerbato dalle recenti decisioni politico-economiche internazionali.
Un futuro incerto
Il clima di tensione e incertezza è palpabile all’interno del campo di Burj el-Shemali. Le condizioni di vita, già difficili a causa della povertà e della mancanza di infrastrutture adeguate, sono ora aggravate dalla prospettiva di un futuro senza assistenza. La comunità internazionale si trova di fronte a una scelta cruciale: sostenere i rifugiati palestinesi garantendo loro il diritto all’educazione, alla sanità e a un’esistenza dignitosa, o permettere che le condizioni di vita in queste aree si deteriorino ulteriormente, con conseguenze potenzialmente destabilizzanti per l’intera regione.
Abu Wassim, nel frattempo, continua la sua opera all’interno del campo, accendendo una stufetta elettrica e condividendo mandarini e caffè con chi lo visita, in una resistenza quotidiana che sfida il freddo e la disperazione. In questa piccola enclave, dove ogni angolo ricorda la Palestina, la determinazione di questo anziano uomo palestinese simboleggia la lotta di un popolo per il riconoscimento dei propri diritti e per la speranza di un avvenire migliore.
Foto Credits: Il Manifesto (https://static.ilmanifesto.it/2024/01/01est2-riapertura-campo-profughi-tiro-gettyimages-1026113510.jpg)