![Gaza: la delicata situazione tra tregua e crisi umanitaria 1 20240514 193323](https://masainews.it/wp-content/uploads/2024/05/20240514-193323.webp)
Gaza, per la tregua c’è soltanto uno spiraglio. L’ostacolo è la fine della guerra
GERUSALEMME — Da dodici anni, l’emiro del Qatar ospita i leader di Hamas. Tuttavia, nell’ultimo mese, li ha avvertiti di prepararsi al trasloco. L’invio del messaggio è opera di Antony Blinken, tramite il premier Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, su richiesta degli americani che, nel 2012, avevano domandato al piccolo regno nel Golfo di offrire una sede ai leader dell’organizzazione. L’obiettivo era mantenere aperto un canale di mediazione con il gruppo che domina Gaza dal 2007, quando ne ha preso il controllo con le armi al presidente Abu Mazen.
Attualmente, il segretario di Stato statunitense sta utilizzando tutte le pressioni possibili, incluso lo sfratto, affinché Hamas accetti l’ultima proposta discussa dai negoziatori in Egitto. In particolare, Blinken ha voluto chiarire al Qatar che una risposta negativa a questo punto non è accettabile. Attraverso i media sauditi, i jihadisti hanno lasciato trapelare la loro disponibilità a procedere con un piano per una pausa nei combattimenti, che sarebbe suddiviso in tre fasi. La prima fase, della durata di sei settimane, prevederebbe il rilascio di 33 ostaggi israeliani tra donne, minori, anziani e malati.
La complessità degli scambi di prigionieri
Nei passaggi successivi, i soldati e gli uomini con meno di 50 anni verrebbero scambiati con altri detenuti palestinesi. Fonti saudite indicano che gli israeliani sarebbero pronti a scarcerare Marwan Barghouti, condannato a cinque ergastoli, a condizione che si trasferisca a Gaza, nonostante sia originario della Cisgiordania, dove vive la sua famiglia. Barghouti è considerato da molti palestinesi, diplomatici internazionali e alcuni israeliani l’unico vero successore dell’anziano raìs.
I rappresentanti di Hamas sono attualmente al Cairo, mentre Benjamin Netanyahu avrebbe rinviato la partenza della delegazione guidata dal direttore del Mossad. Il primo ministro ha lasciato trapelare ieri due messaggi per ridurre le aspettative di una svolta nei negoziati: una ‘fonte politica di alto livello’ ha ribadito che l’esercito procederà comunque con l’invasione di Rafah; la stessa fonte ha spiegato che per Israele non è possibile aderire a un cessate il fuoco permanente. I leader dell’organizzazione palestinese affermano invece di aver ricevuto garanzie sulla fine del conflitto e sul ritiro delle truppe dalla Striscia.
Le dichiarazioni di Tzahi Hanegbi e le proteste a Tel Aviv
Tzahi Hanegbi, fedelissimo del premier e consigliere per la Sicurezza Nazionale, ha ribadito ai telegiornali del sabato sera che le truppe entreranno a Rafah ‘molto presto’ e che Yahya Sinwar, il pianificatore dei massacri del 7 ottobre, ‘non resterà vivo’. Sarebbe Sinwar ad avere l’ultima parola sul possibile accordo, e il Canale 12 israeliano specula che i segnali ‘positivi’ potrebbero essere una tattica per guadagnare tempo.
I famigliari degli ostaggi sono sempre più consapevoli del tempo che stringe. Ieri sera, le manifestazioni di protesta hanno radunato migliaia di persone per le strade di Tel Aviv, chiedendo che l’intesa venga finalizzata e invocando le dimissioni del governo. Dopo la pausa nei combattimenti alla fine dello scorso novembre, sono ancora 133 gli ostaggi tenuti prigionieri dai terroristi, tra cui una trentina dichiarati morti dall’intelligence israeliana.
La crisi umanitaria a Gaza
Non hanno più tempo nemmeno gli abitanti di Gaza. ‘La carestia sta per scoppiare ed è già in corso nel nord della Striscia’, denuncia Cindy McCain, direttrice del Programma Alimentare Mondiale. Gli americani hanno sospeso la costruzione del porto flottante al largo della Striscia, dove i palestinesi uccisi in 211 giorni di guerra sono quasi 35 mila, a causa delle condizioni avverse del mare. Il pontile dovrebbe permettere un afflusso molto maggiore di aiuti proprio nella parte del territorio più colpita dalla fame.
La situazione nella Striscia di Gaza è sempre più critica. Le condizioni di vita peggiorano di giorno in giorno, con una crescente mancanza di cibo e risorse essenziali. Le organizzazioni internazionali fanno il possibile per inviare aiuti, ma la logistica e la sicurezza rappresentano sfide enormi. La costruzione del porto flottante, sospesa per le condizioni del mare, è vista come una soluzione temporanea per migliorare la distribuzione degli aiuti, ma la popolazione locale continua a soffrire in attesa di una soluzione più stabile e duratura.