Un Tregua Fragile: Le Complesse Dinamiche tra Gaza e Israele
GERUSALEMME — Da dodici anni, l’emiro del Qatar ospita i leader di Hamas, ma ora il tempo sembra scadere. Un mese fa, l’emiro ha avvertito Hamas di prepararsi al trasloco, un avviso trasmesso dal segretario di Stato americano Antony Blinken al premier qatariota Mohammed bin Abdulrahman Al Thani. Questo messaggio è il culmine di una strategia iniziata nel 2012, quando gli Stati Uniti hanno chiesto al Qatar di offrire una sede ai leader di Hamas per mantenere aperto un canale di mediazione con il gruppo.
Oggi, Blinken sta esercitando tutte le pressioni possibili, incluso lo sfratto, per convincere Hamas ad accettare l’ultima proposta di tregua discussa in Egitto. Il Qatar è stato avvertito che una risposta negativa non è accettabile. Attraverso i media sauditi, i jihadisti hanno lasciato trapelare la loro disponibilità ad accettare il piano di tregua, suddiviso in tre fasi.
Il Piano di Tregua in Tre Fasi
Durante la prima fase, della durata di sei settimane, verrebbero rilasciati 33 ostaggi israeliani tra donne, minori, anziani e malati. Nei passaggi successivi, i soldati e gli uomini con meno di 50 anni verrebbero scambiati con altri detenuti palestinesi. Sempre secondo fonti saudite, Israele sarebbe pronto a rilasciare Marwan Barghouti, condannato a cinque ergastoli, a condizione che si trasferisca a Gaza. Barghouti, originario della Cisgiordania, è considerato da molti palestinesi, diplomatici internazionali e alcuni israeliani come il possibile successore del presidente Abu Mazen.
I rappresentanti di Hamas si trovano al Cairo, mentre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha rinviato la partenza della delegazione guidata dal direttore del Mossad. Netanyahu ha anche lasciato trapelare due messaggi: l’esercito procederà comunque con l’invasione di Rafah e Israele non aderirà a un cessate il fuoco permanente.
La Posizione di Israele e le Reazioni di Hamas
Tzahi Hanegbi, consigliere per la Sicurezza Nazionale e fedelissimo di Netanyahu, ha dichiarato ai telegiornali che le truppe entreranno a Rafah ‘molto presto’ e che Yahya Sinwar, il pianificatore dei massacri del 7 ottobre, ‘non resterà vivo’. Secondo il Canale 12 israeliano, i segnali ‘positivi’ di Hamas potrebbero essere una tattica per guadagnare tempo.
Intanto, i famigliari degli ostaggi sono sempre più impazienti. Ieri sera, migliaia di persone hanno manifestato per le strade di Tel Aviv, chiedendo che l’intesa venga finalizzata e invocando le dimissioni del governo. Dopo la pausa nei combattimenti di novembre, 133 ostaggi sono ancora prigionieri dei terroristi e una trentina di loro è stata dichiarata morta dall’intelligence israeliana.
La Crisi Umanitaria a Gaza
Nel frattempo, la situazione a Gaza continua a peggiorare. ‘La carestia sta per scoppiare ed è già in corso nel nord della Striscia’, denuncia Cindy McCain, direttrice del Programma Alimentare Mondiale. Gli Stati Uniti hanno sospeso la costruzione di un porto flottante al largo della Striscia, dove i palestinesi uccisi in 211 giorni di guerra sono quasi 35 mila, a causa delle condizioni avverse del mare. Questo pontile dovrebbe permettere un afflusso maggiore di aiuti, soprattutto nella parte del territorio più colpita dalla fame.
La situazione resta estremamente complessa e delicata, con molteplici attori coinvolti e interessi contrastanti. Le pressioni internazionali continuano, ma trovare una soluzione definitiva alla crisi nella Striscia di Gaza sembra ancora lontano.