Sgombero forzato a Sciences Po: la mobilitazione pro-Palestina incontra la resistenza delle autorità
La mattinata del 2 maggio a Parigi ha visto nuovamente le forze dell’ordine intervenire presso l’università Sciences Po, per sgomberare gli studenti che occupavano l’edificio in segno di protesta. Quest’ultima azione di polizia segue di pochi giorni un precedente intervento, segnando un momento di forte tensione tra le autorità e il movimento studentesco pro-Palestina. Gli studenti, che avevano iniziato l’occupazione il giorno precedente, sono stati evacuati ‘senza incidenti’, secondo quanto comunicato dalla questura di Parigi. La ministra dell’istruzione superiore, Sylvie Retailleau, ha esortato i presidenti delle università a garantire l’ordine, facendo uso pieno dei loro poteri.
La nuova occupazione era stata avviata dagli studenti a seguito di un’assemblea indetta dall’amministrazione di Sciences Po, in risposta alle richieste del movimento studentesco. Questo incontro, tuttavia, è stato descritto come insoddisfacente da Pierre, pseudonimo di uno studente attivo nelle proteste, che ha lamentato la mancanza di apertura al dialogo da parte dell’amministrazione universitaria. Le richieste degli studenti, tra cui l’istituzione di un comitato investigativo sui partenariati tra Sciences Po e le università israeliane, sono rimaste inascoltate, accentuando il senso di frustrazione e portando alla decisione di occupare nuovamente l’università.
La reazione della polizia e le prospettive future
La risposta delle autorità non si è fatta attendere: intorno alle 11 di mattina, la polizia ha fatto il suo ingresso a Sciences Po per la seconda volta in breve tempo. Una parte degli studenti ha scelto di uscire prima dell’arrivo delle forze dell’ordine, mentre altri hanno optato per una forma di protesta pacifica, rimanendo seduti nell’atrio dell’università. L’amministrazione ha quindi proceduto alla chiusura dell’accesso al campus, estendendo lo sgombero e la chiusura anche ad altre sedi, come quella di Lione, con mobilitazioni che hanno toccato anche Lille e Saint-Etienne.
Queste azioni di protesta si inseriscono in un contesto più ampio che vede gli studenti di varie parti del mondo, inclusi Stati Uniti ed Europa, mobilitarsi contro la situazione in Gaza. Le università francesi, in particolare, sono state teatro di numerose manifestazioni, culminate spesso con interventi di sgombero da parte delle forze dell’ordine. La situazione a Sciences Po, come sottolineato da Pierre, è emblematica di un cambiamento: mai prima d’ora, secondo il suo racconto, l’università era stata oggetto di azioni simili, soprattutto in relazione alla questione palestinese. La manifestazione di pomeriggio a Place du Panthéon, su appello di diversi sindacati studenteschi, segna un ulteriore momento di confronto tra la comunità studentesca e le autorità.
Un appello al dialogo e alla comprensione
La situazione a Sciences Po riflette un momento di tensione non solo all’interno dell’istituzione, ma anche nel tessuto sociale più ampio, che vede contrapporsi esigenze di sicurezza e ordine pubblico a richieste di dialogo e apertura verso tematiche di rilevanza internazionale. L’intervento delle autorità, sebbene descritto come avvenuto ‘senza incidenti’, solleva questioni sul diritto di protesta e sull’importanza del confronto aperto e costruttivo. La richiesta studentesca di un maggiore ascolto e la volontà di portare avanti le proprie istanze, nonostante gli ostacoli, sono indicativi di una volontà di partecipazione attiva ai grandi dibattiti contemporanei.
In questo contesto, la figura di Pierre emerge come simbolo di una gioventù desiderosa di incidere sul proprio futuro e su quello delle relazioni internazionali. La sua testimonianza, insieme a quella degli altri studenti coinvolti, sottolinea l’importanza di un dialogo franco e aperto tra le istituzioni educative e i loro studenti, in un momento storico in cui le questioni di giustizia globale sembrano più pressanti che mai. La speranza è che tali episodi possano portare a una riflessione più ampia sui metodi attraverso i quali le società democratiche gestiscono il dissenso e su come le istituzioni educative possano fungere da luoghi di dibattito critico e costruttivo.