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La tensione si inasprisce a Parigi: nuova occupazione e sgombero presso Sciences Po
Il clima di tensione che permea l’ambiente accademico francese ha raggiunto nuovi picchi questa settimana con una seconda occupazione dell’università Sciences Po a Parigi, seguita da un immediato sgombero da parte delle forze di polizia. La situazione, già tesa in seguito a precedenti proteste studentesche pro-Palestina, ha visto un’escalation quando oltre cento studenti hanno deciso di occupare nuovamente la storica sede dell’ateneo, situata in Rue Saint-Guillaume, per esprimere il loro dissenso nei confronti della gestione universitaria delle richieste di dialogo sulla situazione in Palestina.
Le autorità francesi hanno reagito con prontezza all’occupazione. A mezzogiorno, la questura di Parigi ha comunicato che 91 studenti erano stati evacuati ‘senza incidenti’. La ministra dell’istruzione superiore, Sylvie Retailleau, ha esortato i dirigenti universitari a garantire il ‘mantenimento dell’ordine’, utilizzando ‘la massima estensione dei poteri’ a loro disposizione, sottolineando la necessità di una risposta ferma alle proteste.
Una protesta nata da richieste inascoltate
La nuova ondata di proteste ha avuto origine da una delusione profonda nei confronti dell’amministrazione universitaria. Nonostante le promesse di dialogo, gli studenti coinvolti nelle mobilitazioni hanno percepito l’ultima assemblea con l’ateneo come una ‘farsa’, secondo le parole di Pierre, studente di Sciences Po e membro del Comitato di Solidarietà per la Palestina. Le loro richieste, tra cui quella di un comitato investigativo sui partenariati tra Sciences Po e le università israeliane, sono state incontrovertibilmente respinte dal direttore ad interim Jean Bassères.
Di fronte a quella che hanno percepito come un’indisponibilità al dialogo da parte dell’università, gli studenti hanno deciso di rioccupare l’ateneo, sperando di rilanciare le loro richieste e di ottenere un cambiamento. La risposta dell’amministrazione è stata un ultimatum: la richiesta di smobilitazione entro venti minuti, altrimenti sarebbe stata chiamata la polizia.
La risposta delle autorità e la chiusura dell’accesso al campus
Contrariamente alle speranze degli occupanti, la polizia ha fatto irruzione nell’edificio verso le 11 di mattina, segnando il secondo intervento in meno di due settimane. Alcuni studenti hanno optato per una protesta pacifica, sedendosi nella hall con le braccia incrociate, mentre altri hanno deciso di abbandonare l’edificio prima dell’arrivo delle forze dell’ordine. L’amministrazione ha successivamente bloccato l’accesso al campus, sigillando simbolicamente la fine della protesta.
Questo episodio di tensione non è isolato nel panorama accademico francese. Altre università, come la Sorbona, hanno assistito a proteste e occupazioni, tutte rigorosamente sgomberate dalle autorità. La situazione si inserisce in un contesto più ampio di mobilitazioni studentesche in tutta Europa e negli Stati Uniti, dove la questione palestinese sta catalizzando l’attenzione e generando ampie discussioni. Pierre riflette su questa tendenza, sottolineando come, nonostante le difficoltà, la volontà di protesta degli studenti rimanga forte e determinata.
In risposta agli sgomberi, manifestazioni di solidarietà si sono svolte nel pomeriggio a Place du Panthéon, organizzate da diversi sindacati studenteschi. Questi eventi sono espressione del crescente malcontento nei confronti delle politiche universitarie e della gestione delle proteste, segnalando una frattura sempre più marcata tra la comunità studentesca e le istituzioni accademiche.
La situazione a Sciences Po si aggiunge a una serie di episodi simili che hanno segnato le università francesi nelle ultime settimane. La ripetizione di occupazioni e sgomberi testimonia non solo la profondità del dissenso studentesco ma anche la determinazione delle autorità a mantenere il controllo sugli spazi accademici. Mentre il dibattito sulla Palestina continua a infiammare gli animi, la comunità di Sciences Po e le altre università coinvolte restano al centro di una disputa che va ben oltre le aule e che tocca questioni di libertà di espressione, diritti umani e solidarietà internazionale.