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Il declino di Sciences Po e l’eco delle proteste pro-Palestina: l’analisi di Kepel
In un periodo di tensioni e dibattiti accesi sull’arena internazionale, le recenti proteste universitarie pro-Palestina hanno suscitato un nuovo livello di discussione, mettendo in luce non solo le questioni geopolitiche ma anche le dinamiche interne alle istituzioni educative d’élite. Tra queste, Sciences Po, la prestigiosa scuola parigina, si trova al centro di un vortice che mescola politica internazionale, ideologie e istruzione. Il professor Gilles Kepel, noto politologo e autore francese, esperto di Medio Oriente, condivide la sua visione su questi eventi, ponendo l’accento sulle implicazioni più ampie che riguardano il sapere e l’istruzione.
Secondo Kepel, Sciences Po ha subito un declino, cedendo di fronte alle pressioni dell’ideologia woke, perdendo così la sua bussola educativa. Questo declino risale a decisioni passate, quando fu aperta la possibilità per studenti provenienti dalle periferie di accedere a questa istituzione d’élite, con l’intento di democratizzare l’istruzione ma senza mantenere un rigoroso standard accademico. Una mossa che, sebbene inizialmente positiva, ha portato a conseguenze non intenzionali sul lungo termine.
La crisi di Sciences Po e le proteste negli USA: un parallelo inquietante
Il legame tra la crisi interna di Sciences Po e le proteste nei campus americani diventa evidente nell’adozione di un linguaggio e di pratiche che riflettono una certa americanizzazione del discorso politico e accademico. La scuola, secondo Kepel, si trova attualmente sotto l’influenza di ideologie che trascendono il contesto educativo, influenzata da correnti politiche come quella di Jean-Luc Mélenchon in Francia, che vede nelle date simboliche come il 7 ottobre un riposizionamento degli equilibri globali, con effetti potenzialmente più devastanti di eventi storici come l’11 settembre.
Il professor Kepel sottolinea come, a differenza della reazione unitaria post-11 settembre, le recenti atrocità hanno visto una frattura nell’Occidente, con una parte che sembra schierarsi con i ‘carnefici’ anziché con le vittime. Questa situazione è aggravata quando figure di spicco come la guida suprema iraniana Khamenei appoggiano apertamente le proteste, indicando un profondo punto di rottura.
Il dibattito sulla legittimità delle proteste e il silenzio sugli ostaggi
Nonostante le proteste pro-Palestina sollevino questioni legittime riguardanti le vittime civili palestinesi, Kepel critica la loro unidimensionalità e l’oblio in cui cadono altri aspetti fondamentali del conflitto, come il massacro del 7 ottobre e il destino degli ostaggi nelle mani di Hamas. La polarizzazione e l’ideologizzazione del dibattito si manifestano concretamente nelle tensioni tra manifestanti pro-Israele e pro-Palestina anche fuori dalle aule di Sciences Po, simboleggiate dalla ribattezzazione dell’anfiteatro Boutmy in ‘anfiteatro Gaza’.
Questo clima, che Kepel descrive come ‘jihadismo d’atmosfera’, pur non essendo ancora sfociato in violenza aperta, ha già avuto ripercussioni gravi, come gli assassinii dei professori Samuel Paty e Dominique Bernard. Il timore è che tali tensioni possano esacerbarsi ulteriormente, specialmente in contesti simbolici come le Olimpiadi, evocando il tragico precedente del 1972 a Monaco.
La situazione attuale, analizzata da Kepel, pone Sciences Po e simili istituzioni educative di fronte a una sfida cruciale: quella di riscoprire la propria missione educativa, andando oltre le divisioni ideologiche e politiche. Il dibattito in corso sull’educazione, la politica e la società, amplificato dalle proteste pro-Palestina, esige una riflessione profonda sul ruolo dell’istruzione superiore in un mondo sempre più polarizzato e ideologizzato.