La didattica online alla Columbia: una decisione tra sicurezza e controversie
La Columbia University ha annunciato il passaggio alla didattica online, un cambio di rotta che si inserisce in un contesto di crescente tensione e proteste all’interno del campus. La rettrice, Shafik, ha espresso la necessità di ‘una descalation del rancore’, sottolineando come il livello di disaccordo all’interno dell’università sia cresciuto in modo preoccupante negli ultimi giorni. La decisione arriva in un momento particolarmente delicato, segnato dalla sospensione di decine di studenti e da un centinaio di arresti effettuati dalla polizia durante un sit-in di protesta. Gli studenti richiedevano che l’università cessasse ogni investimento in aziende con legami con Israele, in segno di solidarietà verso la causa palestinese.
Shafik ha manifestato preoccupazione per la sicurezza degli studenti ebrei, facendo eco alle preoccupazioni espresse da un rabbino dell’università che ha consigliato agli studenti ebrei di rimanere a casa in seguito a segnalazioni di attacchi antisemiti. La situazione ha suscitato reazioni miste all’interno della comunità studentesca e oltre, con alcuni che vedono nella decisione un atto di prudenza, mentre altri la interpretano come una mossa strategica per placare le tensioni.
Solidarietà e critiche: le reazioni al campus
Melissa Hofstein, studentessa di antropologia al Cuny e attivista con Jewish Voice For Peace, ha partecipato attivamente alle proteste e ora estende la sua solidarietà agli studenti della Columbia. Benché riconosca un aumento dell’antisemitismo seguito all’inizio della guerra, Hofstein considera la decisione di cancellare le lezioni in presenza come potenzialmente strumentale. Nel frattempo, la solidarietà non si è fatta attendere, con testimonianze di supporto che sono arrivate sia da cittadini che da studenti di altri atenei, dimostrando come la questione abbia risonanza ben oltre i confini del campus della Columbia.
Uno dei primi a esprimere solidarietà è stato l’intellettuale e attivista Cornell West, che ha visitato l’università ricevendo richieste di utilizzare la sua visibilità per promuovere la pace e la giustizia. La sua presenza ha sottolineato l’importanza del dibattito su giustizia e diritti umani, temi al centro delle proteste studentesche. Al contempo, crescono le voci critiche nei confronti della gestione della situazione da parte della rettrice, con alcuni repubblicani che chiedono le sue dimissioni accusandola di aver perso il controllo del campus.
La protesta si estende oltre la Columbia
Il fenomeno di protesta che ha investito la Columbia si sta espandendo anche ad altre prestigiose università degli Stati Uniti. Yale, in Connecticut, ha visto manifestazioni simili, con studenti che hanno espresso solidarietà verso Gaza e richiesto un disinvestimento dalle aziende militari che forniscono armi a Israele. Anche qui, come a New York, la risposta delle autorità è stata marcata, con almeno cinquanta studenti arrestati dopo aver rifiutato di sciogliere un sit-in nel campus. Le manifestazioni hanno poi trovato eco nelle strade di New Haven, dimostrando come la solidarietà studentesca possa trasformarsi in un movimento di più ampia portata.
Anche Boston ha visto i suoi campus universitari, tra cui il MIT e l’Emerson College, organizzare proteste studentesche. Queste iniziative sono diventate più numerose e partecipate dopo gli eventi alla Columbia, segno di un crescente senso di comunità e di supporto reciproco tra gli studenti di diverse università. Un gruppo di protesta filo-palestinese, Occupy Beinecke, ha eretto un accampamento di ventiquattro tende fuori dalla Beinecke Plaza di Yale, dichiarando su Instagram che la loro azione era nata in solidarietà con le proteste alla Columbia University.
La situazione attuale, quindi, non riguarda solo la Columbia University ma si inserisce in un contesto più ampio di mobilitazione studentesca che attraversa gli Stati Uniti. Queste proteste riflettono tematiche globali come la giustizia sociale e i diritti umani, e dimostrano come le nuove generazioni siano pronte a mobilitarsi per le cause in cui credono. La decisione della Columbia di passare alla didattica online, benché controversa, è soltanto l’ultimo capitolo di una storia più ampia di attivismo e solidarietà che continua a evolversi.