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Proteste contro Google e Amazon: Accuse di Complicità nel Conflitto Israele-Palestina
In una serie di eventi che hanno catalizzato l’attenzione pubblica e mediatica, attivisti hanno preso di mira le sedi di Google a Sunnyvale, nella Silicon Valley, e a Manhattan, oltre a manifestare a San Francisco e Seattle. Il nucleo delle proteste, organizzate dal gruppo NoTechForApartheid, si rivolge alla partecipazione di Google e Amazon nel progetto Nimbus, un’iniziativa che vede la collaborazione con il ministero della difesa israeliano per l’elaborazione di dati durante la campagna militare a Gaza.
Il Dettaglio delle Accuse
Il progetto Nimbus, come rivelato dalla rivista Time, comprende l’accesso privilegiato alla Google Cloud, consentendo al ministero di elaborare dati sensibili e accedere a servizi avanzati di intelligenza artificiale. Si è venuti a sapere che tale tecnologia AI, identificata con il nome di Lavender, è stata utilizzata per identificare autonomamente potenziali obiettivi a Gaza, inserendo nella sua banca dati fino a 37.000 nomi. Critiche feroci emergono in relazione al margine di errore del 10% del sistema e alla tolleranza di un alto numero di vittime collaterali per ciascun bersaglio.
La Reazione della Silicon Valley
Il coinvolgimento delle giganti tecnologiche nella militarizzazione ha scatenato un’ondata di dissenso, particolarmente palpabile tra i programmatori e i dipendenti di Silicon Valley. Un episodio emblematico si è verificato a New York, dove impiegati di Google hanno interrotto un seminario di Barak Regev, capo delle operazioni israeliane dell’azienda. Nonostante ciò, le collaborazioni di natura militare tra le aziende tecnologiche e il settore della difesa continuano a crescere, alimentate dalla corsa agli armamenti IA.
La Mobilitazione Interna e la Risposta delle Aziende
Le proteste di ieri rappresentano il culmine di un movimento che ha visto la partecipazione di organizzazioni come MPower Change e Jewish Voice for Peace, attive nel promuovere una visione pacifista e critica nei confronti della guerra. Google ha tentato di arginare il dissenso interno, vietando la discussione del progetto Nimbus sui canali aziendali di messaggistica. Tuttavia, la mobilitazione degli attivisti non si è arrestata, culminando nelle manifestazioni di ieri, in concomitanza con una giornata di lotta per la Palestina. Zelda Montes, una delle attiviste, ha espresso al Washington Post il proprio disappunto: «È deplorevole che Google venda la propria tecnologia al governo e all’esercito di Israele. Speriamo che questa azione possa spingere i nostri colleghi a esigere che il loro lavoro non venga messo al servizio del contesto in cui si sta portando a temine un genocidio».
Il Ruolo delle Big Tech nella Geopolitica Globale
La protesta di NoTechForApartheid non si limita a un episodio isolato ma s’inserisce in un contesto più ampio di critica verso il ruolo delle Big Tech nella geopolitica mondiale. Sul sito dell’organizzazione si legge un’accusa diretta: «La collaborazione di Amazon e Google con l’apartheid israeliana fa parte di un modello più ampio di Big Tech che alimenta la violenza di stato in tutto il mondo». Queste aziende sono accusate di anteporre il profitto alla dignità umana, contribuendo a rendere il mondo un luogo meno sicuro. La tecnologia, che possiede il potenziale unificante e progressista, quando impiegata in contesti bellici o di soppressione, solleva interrogativi etici e morali profondi. Il dibattito si estende oltre le questioni di privacy e sicurezza informatica, toccando temi di giustizia internazionale e diritti umani, ponendo le aziende tecnologiche di fronte alla responsabilità delle loro scelte e al loro impatto globale.