Nel complesso scacchiere mediorientale, la tensione tra Israele e Iran assume contorni sempre più definiti, delineando strategie e possibili scenari futuri di una rivalità che ha radici profonde e ramificate. Le recenti dichiarazioni del capo del Mossad, David Barnea, e l’attacco a Damasco, in cui è stato ucciso il generale iraniano Mohammad Reza Zahedi, sottolineano una tattica israeliana non nuova ma sempre più esplicita nei confronti di Teheran.
La strategia israeliana: prevenzione e risposta
Nelle settimane precedenti al 7 ottobre, Barnea aveva rivelato che, solo nel 2023, Israele ha sventato ventitré attacchi contro israeliani ed ebrei in giro per il mondo, organizzati dall’Iran. Questa informazione non solo mette in luce l’efficacia delle operazioni di intelligence israeliane ma anche la determinazione di Teheran nel perseguire i propri obiettivi oltre i confini nazionali. Il capo del Mossad ha sottolineato che gli ordini per gli attacchi provenivano da “molto in alto” all’interno del regime iraniano, promettendo una risposta diretta “nel cuore di Teheran”.
L’attacco a Damasco, che ha visto la morte di Zahedi e altri dirigenti militari, si inserisce in questa strategia di risposta. Nonostante l’escalation di violenza, le azioni di Israele non sembrano mirare a un’inasprire il conflitto con l’Iran, ma piuttosto a colpire selettivamente obiettivi ritenuti responsabili di minacce dirette allo Stato ebraico. Questa tattica, per quanto rischiosa, mira a mantenere la pressione su Teheran, limitando al contempo le possibilità di un’escalation militare aperta.
Le implicazioni regionali
L’ingresso dell’Iran nel conflitto a fianco di Hamas, dopo gli attacchi a Gaza e la risposta israeliana, ha aggiunto un ulteriore livello di complessità alla situazione. Teheran, scegliendo di non lanciare una campagna totale ma di supportare costantemente gruppi alleati, sta giocando una partita di lungo termine nel tentativo di espandere la propria influenza nella regione senza esporre direttamente le proprie forze a un confronto diretto con Israele.
Questa strategia non è nuova nel comportamento della Repubblica Islamica, che da anni arma e supporta gruppi militanti in Medio Oriente, da Hezbollah in Libano ai ribelli Houthi in Yemen. Tuttavia, l’uccisione di un alto generale iraniano a Damasco potrebbe rappresentare un punto di svolta, forzando Teheran a riconsiderare il proprio approccio o, al contrario, a intensificare le proprie azioni contro Israele e i suoi alleati.
Un contesto geopolitico in evoluzione
L’analisi di Micol Flammini, giornalista del Foglio con una profonda conoscenza delle dinamiche mediorientali, sottolinea come Israele e Iran si muovano su un terreno complesso, dove la politica internazionale si intreccia con la storia e le ambizioni regionali. Flammini, che ha una vasta esperienza nel campo della geopolitica, avendo studiato e lavorato tra Europa e Medio Oriente, evidenzia come le recenti mosse di Israele siano inserite in un contesto più ampio, in cui la sicurezza nazionale si coniuga con la necessità di mantenere un equilibrio di potere regionale.
La rivalità tra Israele e Iran, quindi, non si limita a una serie di azioni e reazioni isolate, ma è parte di una strategia complessa e di lungo termine, in cui ogni mossa viene calcolata per massimizzare gli interessi nazionali nel rispetto di un equilibrio regionale sempre più precario. In questo gioco di potere, la capacità di influenzare gli eventi senza precipitare in una guerra aperta diventa essenziale, sia per Israele che per l’Iran.
L’attacco a Damasco e le dichiarazioni di Barnea non sono che l’ultimo capitolo di una lunga storia di confronto tra due potenze che, nonostante le profonde divergenze, sembrano consapevoli dei rischi di un’escalation incontrollata. La sfida per entrambi sarà quella di navigare in queste acque turbolente, cercando di preservare i propri interessi senza attraversare la sottile linea rossa che potrebbe portare a un conflitto di dimensioni imprevedibili.