La paura come strumento politico: riflessioni sull’attuale clima europeo
Nell’attuale contesto geopolitico europeo, l’eco della guerra in Ucraina risuona come un campanello d’allarme che disegna un futuro incerto, alimentando un clima di paura e ansia collettiva. Il recente dibattito pubblico, arricchito dalle dichiarazioni del ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba sulla possibilità di richiedere l’invio di soldati europei in Ucraina, sembra concretizzare una dinamica preoccupante anticipata da figure politiche come Emmanuel Macron. A questo si aggiunge il discorso sull’economia di guerra evocato da Ursula von der Leyen, Charles Michel e altri, che preparano gli animi europei a un’escalation bellica.
Il linguaggio della guerra, ormai onnipresente nel dibattito pubblico, non sorprende l’antropologo Romain Huët, specializzato in etnografia della violenza, che identifica nella politica della paura un mezzo per predisporre la società a future svolte autoritarie e conflitti. Questa prospettiva si radica in un’atmosfera che, secondo Huët, rende la guerra non solo accettabile ma anche un’opzione plausibile davanti all’escalation di tensioni.
La percezione della guerra e la sua accettazione sociale
La guerra in Ucraina, una realtà sanguinosa e dolorosa, si colloca in un panorama europeo dove il discorso bellicista sembra trovare poco terreno fertile tra la popolazione. Nonostante ciò, i leader politici insistono sull’importanza di “prepararsi alla guerra”, una narrazione che, sebbene non abbia ancora trovato vasta accoglienza, potrebbe plasmare l’opinione pubblica nel lungo termine. Huët mette in luce come questa strategia si inserisca in un contesto più ampio di manipolazione del sentimento popolare attraverso la paura, un sentimento che trova alimentazione anche nella minaccia di attentati terroristici sul suolo europeo.
La questione dell’invio di truppe europee in Ucraina, sebbene discussa, appare a Huët poco probabile nella realtà attuale, mettendo in dubbio le capacità dell’Europa di sostenere uno scontro militare diretto con la Russia. Tuttavia, l’attentato terroristico al Crocus City Hall di Mosca, attribuito da alcuni al coinvolgimento ucraino, potrebbe rappresentare una giustificazione supplementare per un’escalation del conflitto, sebbene Huët ritenga che l’intensità dell’offensiva russa sull’Ucraina non possa aumentare significativamente.
Il futuro dell’Europa tra paura e politiche autoritarie
Nel tentativo di decifrare il futuro dell’Europa, Huët sottolinea come eventi quali le elezioni europee e americane potrebbero essere decisivi per la sorte del conflitto in Ucraina. Il suo sguardo si estende anche oltre, ipotizzando che l’attuale clima di tensione possa essere un preludio a conflitti ancora più ampi, come quello potenziale su Taiwan. Questa visione si contrappone all’identità stessa dell’Europa, concepita come un continente di pace, suggerendo un crescente senso di impotenza e una perdita di influenza sul palcoscenico globale.
Il parallelo con il periodo pre-bellico della Prima guerra mondiale, dove l’appannamento di giudizio dei leader europei fu uno dei catalizzatori del conflitto, offre una prospettiva inquietante. L’avanzata del nazionalismo e delle politiche protezioniste segna una tendenza verso la chiusura rispetto al resto del mondo, con la paura e l’angoscia che dominano il panorama politico, favorendo svolte autoritarie piuttosto che lo sviluppo democratico.
La guerra in Ucraina: una prospettiva antropologica
Nel suo lavoro sul campo in Ucraina e Siria, Huët ha osservato come la guerra non sia percepita solo come una tragedia, ma anche come un’opportunità per vivere in una condizione destrutturata, dove gli individui mobilitati trovano un certo piacere. Questa percezione, tuttavia, non si applica alle società europee, che vivono la guerra in modo indiretto, da spettatori più che da protagonisti. Questo distacco dalla realtà del conflitto, però, non diminuisce l’effetto ansiogeno prodotto dal continuo bombardamento mediatico incentrato sulla guerra e sulla paura.
Di fronte a questo scenario, Huët si chiede quali possano essere le alternative all’esacerbarsi del clima di paura. La risposta potrebbe risiedere nel dialogo e nella comunicazione sociale, seguendo l’esempio di Hannah Arendt, per mantenere aperte le nostre società e contrastare la tendenza alla chiusura e alla paura. Tuttavia, il contesto attuale, segnato da una Russia che sembra non voler trattare e da un’Europa in attesa delle future direzioni politiche degli Stati Uniti, rende complesso identificare vie d’uscita chiare e immediate dal circolo vizioso della paura e dell’escalation bellica.