La nuova Italia disegnata dalla destra
Per i livelli essenziali delle prestazioni (Lep), la riforma proposta dalla destra prevede l’introduzione di decreti delegati entro due anni. Secondo quanto dichiarato, fino all’emanazione di tali decreti, si farà riferimento alla legge di bilancio, che a sua volta richiama un decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) e la figura di un commissario. Si sottolinea che rimarrà invariata la definizione dei Lep fino alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi previsti.
Chi avrà il potere decisionale su cosa, come e quando attuare rimane un punto di incertezza. Emergono dubbi anche riguardo agli atti di iniziativa delle Regioni che sono stati presentati al Governo e che sono oggetto di discussione congiunta tra il governo centrale e le Regioni interessate. La necessità di esaminare tali atti conformemente alle disposizioni legislative vigenti solleva interrogativi sulla pertinenza della legge Calderoli e su quali parti di essa saranno effettivamente applicabili.
La fuga in avanti di Calderoli e le possibili implicazioni
È evidente che alcune disposizioni potrebbero offrire a Calderoli un margine di manovra per le Regioni, in particolare per quelle come la Lombardia e il Veneto, e forse anche l’Emilia-Romagna, che rientrano in determinati schemi. Questo potrebbe portare a una rapida attuazione dell’autonomia, aprendo la strada a scenari finora inesplorati. L’audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) tenutasi all’inizio di febbraio presso la Commissione bicamerale per le riforme regionali ha confermato le preoccupazioni già espresse in precedenza.
L’Upb ha ribadito le critiche precedentemente espresse, evidenziando che, in un contesto già profondamente diviso, i Lep richiedono risorse aggiuntive per le realtà in ritardo. Questo implica la necessità di uno sviluppo sostenuto (attualmente assente), una redistribuzione delle risorse da chi è in una situazione migliore a chi è in difficoltà (politicamente complicato), oppure un aumento delle tasse (opzione poco gradita al governo attuale). Al contrario, la riforma Calderoli impone un vincolo di spesa fisso, aumentando il rischio di una frammentazione economica insostenibile per il paese, come sottolineato dall’UPB.
Il futuro incerto del sistema politico italiano
In questo scenario complesso, si profila l’arrivo del “premierato”, che tuttavia verrà implementato successivamente all’autonomia regionale. Qualsiasi modifica introdotta non riuscirà a risolvere le contraddizioni intrinseche delle riforme che, da un lato, concentrano il potere sull’esecutivo centrale e, dall’altro, gli sottraggono poteri, funzioni e risorse. Se le regioni settentrionali a guida leghista dovessero pretendere ampie autonomie e istituire organismi comuni, come ad esempio un’assemblea di secondo grado di consiglieri regionali e un consiglio di presidenti di giunta, potremmo assistere alla materializzazione delle due diverse visioni di Italia, una concepita da Miglio e l’altra dalla Lega originaria.
Si tratta di organi il cui istituzione è completamente affidata alla regione, e che potrebbero portare a una netta separazione tra una parte d’Italia, ricca e largamente autogestita, e un’altra parte ancora legata al centralismo romano. L’evoluzione di questi elementi potrebbe definire in modo significativo il futuro politico ed economico del Paese, mettendo in discussione l’unità nazionale e aprendo a nuove dinamiche regionali che potrebbero ridefinire il quadro politico italiano nei prossimi anni.