Il malcontento nel settore agricolo: una questione di rappresentanza
Nella complessa realtà agricola italiana, il fermento è palpabile. Tra le pieghe delle proteste e delle assemblee, emerge un quadro di dissenso che va oltre la semplice lamentela per le politiche adottate. In un recente incontro tra agricoltori, la voce di un settore malconcio ha trovato spazio per esprimere inquietudini e frustrazioni. Si parla di una rabbia diffusa, alimentata da una percezione di abbandono da parte di quegli enti che dovrebbero tutelare gli interessi del mondo rurale.
L’Europa e le politiche agricole
Spesso tacciata di essere una “burocrata”, l’Europa è al centro delle critiche per le direttive che, secondo alcuni agricoltori, costringono il settore a una sottomissione insostenibile. Ma è importante sottolineare che tali direttive sono il frutto di desideri e pressioni degli Stati membri, i quali, attraverso i governi nazionali e regionali e le associazioni di categoria, cercano di trarre il massimo vantaggio a discapito di altri. Da qui, l’insorgere di un conflitto di rappresentanza dove gli interessi personali sembrano prevalere su quelli collettivi.
La questione dei contributi e i Consorzi di Bonifica
Durante la tavola rotonda degli agricoltori, è stato messo in luce come gli agricoltori non possano e non debbano basare il proprio anno fiscale sui contributi statali, bensì su un reddito stabile e prevedibile, senza restare in balia dei “capricci del tempo”. L’attuale sistema di aiuto è insufficiente, e non deve costituire l’unica fonte di profitto per chi lavora la terra. Un aspetto che ha suscitato particolare malcontento è stata la gestione dei Consorzi di Bonifica in Abruzzo, la cui inefficienza è stata denunciata come esempio di cattiva amministrazione e costi esorbitanti. La presenza di un rappresentante della Cia, futuro presidente di uno dei consorzi, ha sollevato mormorii e definizioni poco lusinghiere come “carrozzoni politici”.
Il potere delle associazioni di categoria
Le associazioni di categoria, come Coldiretti e Cia, sono state oggetto di critiche per il modo in cui sembrano gestire il potere e le risorse, paragonate a un “bottino di guerra”. Queste organizzazioni, che dovrebbero essere vicine alle esigenze dei loro associati, vengono accusate di non ascoltare le reali necessità degli agricoltori e di evitare di confrontarsi con il pensiero critico. Si fa riferimento a una certa insofferenza verso le proteste e un’abitudine a negoziare in modo da favorire propri interessi anziché quelli dei tesserati.
La visibilità mediatica e le dinamiche politiche
Il senso di rappresentanza distorta è accentuato dalla visibilità mediatica delle proteste. Un agricoltore, osservando il TG3 nazionale, ha notato come dietro una giornalista che descriveva la protesta fossero posizionati membri della Coldiretti, interpretando tale gesto come un messaggio subliminale di presenza forzata e non autentica. La domanda posta dalla giornalista di Tagadà, riguardo il perché la Coldiretti appoggiasse la protesta pur avendo un rapporto solido con il ministro dell’Agricoltura, ha messo in luce la delicata posizione dell’associazione: tra la necessità di mostrarsi solidale con la protesta e il mantenimento di una relazione preferenziale con le istituzioni.
La funzione sociale delle associazioni
Nonostante le critiche, è stato riconosciuto il ruolo fondamentale delle associazioni di categoria, le quali rappresentano una forma naturale di aggregazione sociale e tutela collettiva. Tuttavia, viene evidenziato quanto siano diventate centri autoreferenziali di potere, più concentrati su accordi vantaggiosi per i propri vertici che per la base associativa. Questa tendenza mina la legittimità e l’efficacia di queste organizzazioni nel rispondere alle reali necessità del mondo agricolo.
I prezzi e la grande distribuzione
Un altro problema emerso durante l’incontro riguarda il ruolo della grande distribuzione e del mercato, che impongono prezzi a svantaggio degli agricoltori, i quali si ritrovano a guadagnare solo tra il 5 e il 15% del costo del prodotto finale. Questa disparità mette in luce una catena di valore in cui il produttore è l’anello più debole, costretto ad accettare condizioni poco eque per poter sopravvivere in un mercato sempre più competitivo e concentrato.
L’analisi del disagio nel settore agricolo italiano, dunque, riconduce a una riflessione più ampia sulle dinamiche di rappresentanza e potere. Tra burocrazie europee e dinamiche politiche nazionali, gli agricoltori cercano di far sentire la propria voce, spesso soffocata da un sistema che sembra non riconoscere più il vero valore della terra e di chi la coltiva.
Foto Credits: Il Fatto Quotidiano