La riforma della giustizia
è un tema che ha attraversato decenni di politica italiana, un percorso tortuoso che vede oggi un nuovo tentativo da parte del governo di Giorgia Meloni. A cimentarsi in questa impresa è Carlo Nordio, ex giudice e attuale ministro della Giustizia, che ha promesso di portare in Consiglio dei ministri un disegno di legge costituzionale entro maggio.
La riforma punta a separare le carriere dei magistrati che giudicano da quelli che accusano, una questione discussa sin dal riordino del processo penale del 1989. L’obiettivo è creare due Consigli Superiori della Magistratura (CSM) e un’Alta Corte con membri sorteggiati, incaricata di giudicare i magistrati.
Un Approccio Cauto ma Determinato
Nordio, che ha sempre sottolineato l’importanza di un dialogo sottile piuttosto che di un approccio aggressivo, sembra aver trovato un piccolo spiraglio di apertura. Il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), Giuseppe Santalucia, ha infatti auspicato un confronto tecnico con il ministro prima che la riforma diventi legge.
Nonostante ciò, il clima resta teso e il governo è prudente. La prossima settimana, dal 10 al 12 maggio, l’ANM si riunirà in congresso e lo stesso Nordio sarà impegnato nel G7 a Venezia. L’esito del congresso potrebbe segnare la direzione futura del dialogo tra governo e magistratura.
Vecchie e Nuove Critiche
Non mancano però le voci critiche. Gian Domenico Caiazza, ex presidente dell’Unione Camere Penali, ha espresso dubbi sull’effettiva realizzazione della riforma, sottolineando l’assenza di un testo scritto. Anche Matteo Renzi, leader di Italia Viva, ha criticato l’operato del ministro Nordio, definendolo poco concreto.
Enrico Costa di Azione ha parlato di uno scopo dilatorio, ricordando che un testo base è pendente alla Camera da un anno e mezzo, ma che ora si dovrà ripartire da capo. Queste critiche si aggiungono a una lunga lista di tentativi falliti, tra cui la riforma Castelli del 2002 e il referendum del 2022 lanciato da Lega e Radicali.
Un Passato di Fallimenti
La storia della riforma della giustizia è costellata di promesse non mantenute. La “riforma Castelli” del 2002, ad esempio, iniziò l’iter parlamentare ma fu bloccata dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi per profili di incostituzionalità. Anche il governo Prodi con il ministro Clemente Mastella nel 2007 non riuscì a centrare l’obiettivo, limitandosi a inserire un limite di quattro passaggi in carriera.
Le iniziative successive, tra cui la raccolta firme dei Radicali nel 2013 e la proposta di un ddl costituzionale dell’Unione Camere Penali Italiane tra il 2017 e il 2020, non hanno avuto miglior fortuna. Il referendum anti-porte girevoli del 2022 non ha raggiunto il quorum, segnando un altro capitolo di fallimenti.
La Sfida Attuale
Nonostante un accordo politico tra le forze di maggioranza, la sfida resta complessa. Manca ancora un testo capace di reggere quattro letture in Parlamento e un eventuale referendum. La riforma deve confrontarsi con una magistratura tradizionalmente resistente ai cambiamenti e un’opposizione che, seppur dialogante, resta scettica.
La riforma della giustizia è quindi un terreno minato, e il governo Meloni dovrà navigare con cautela. La promessa di portare avanti questa riforma potrebbe rappresentare una svolta storica, ma solo il tempo dirà se questo sarà l’ennesimo tentativo vano o se finalmente si riuscirà a realizzare ciò che Bettino Craxi, i Radicali, Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema avevano sognato.