La realtà nascosta del carcere Beccaria: testimonianze e speranze
Il carcere Beccaria di Milano, dedicato ai minorenni, si trova al centro di testimonianze inquietanti che gettano luce su un sistema di detenzione duro e spesso crudele, dove la violenza sembra essere una pratica diffusa. Amine, il cui nome è stato modificato per proteggere la sua identità, ha raccontato esperienze di violenza fisica e psicologica subìte durante la sua permanenza nell’istituto. Nato in Italia e di origini nordafricane, Amine ha descritto episodi in cui gli agenti di polizia penitenziaria hanno fatto uso di eccessiva forza, tra cui calci, pugni e uno schiaffo così violento da causare la perdita temporanea dell’udito da un orecchio.
Una cultura del silenzio e della paura
La testimonianza di Amine solleva interrogativi profondi sulla cultura del silenzio che regna all’interno delle mura del carcere Beccaria. ‘Io non mi fido di nessuno, e nessuno si fida di me,’ ha dichiarato, evidenziando un’atmosfera di diffidenza reciproca e paura. La paura di ritorsioni e la mancanza di fiducia nelle autorità impediscono spesso ai detenuti di denunciare gli abusi subiti, alimentando un ciclo vizioso di violenza e sopraffazione. Amine ha sottolineato come, nonostante la durezza dell’ambiente carcerario, la violenza non lo spaventasse, essendo abituato fin da piccolo a un contesto di aggressività. Tuttavia, ha ammesso di sentirsi in colpa per non aver potuto fare nulla per aiutare un compagno di detenzione vittima di violenze.
Il rispetto come moneta di scambio
All’interno del carcere, il rispetto verso chi detiene il potere è fondamentale per evitare guai. Amine ha paragonato le dinamiche carcerarie a quelle della strada, dove la sopravvivenza dipende dalla capacità di adattarsi e rispettare certe regole non scritte. L’episodio in cui un assistente richiedeva sigarette nel cuore della notte rappresenta un esempio di come il rispetto e la sottomissione diventino strumenti di controllo. Questa percezione di ordine e disciplina, imposta attraverso la paura, riflette un approccio punitivo alla detenzione, lontano da qualsiasi logica riabilitativa.
Riflessioni sulla notizia e sul futuro
Le recenti notizie riguardanti il carcere Beccaria hanno suscitato diverse reazioni tra i detenuti. Amine teme che alcuni possano interpretare questi episodi come un’ulteriore conferma dell’impunità e della condotta inappropriata degli assistenti, giustificando così comportamenti ribelli. Tuttavia, sottolinea anche che l’obbedienza e l’ordine, per quanto imposti in modo discutibile, sono visti da alcuni come necessari per gestire la convivenza in un contesto così complesso.
La doppia faccia dell’istituto
Nonostante l’ambiente spesso ostile, Amine ha riconosciuto alcuni aspetti positivi dell’esperienza detentiva, come la possibilità di partecipare a attività formative e ricreative. Dal 2021, anno della sua prima detenzione, ha notato un aumento delle opportunità offerte ai giovani detenuti, dalla falegnameria alla pittura, fino allo sport. Questi momenti rappresentano una boccata d’aria fresca in un contesto altrimenti soffocante, sottolineando l’importanza delle iniziative volte alla riabilitazione e all’inserimento sociale.
La relazione con gli adulti all’interno dell’istituto è però descritta come utilitaristica e superficiale. Il dialogo costruttivo sembra essere l’eccezione, non la regola, riducendo significativamente le possibilità di un supporto emotivo e psicologico efficace. Amine ha espresso apprezzamento per le figure esterne che occasionalmente visitano il carcere, come detenuti adulti con storie di redenzione, che rappresentano modelli di riferimento positivi.
Aspirazioni infrante e speranze per il futuro
La mancanza di supporto concreto nel post-detenzione è uno degli aspetti più critici sottolineati da Amine. Il desiderio di costruire un futuro migliore e di reintegrarsi nella società si scontra spesso con la realtà di un rientro difficile e poco supportato. Le opportunità di tirocinio o di formazione professionale esterna sono rare, lasciando i giovani ex-detenuti a fronteggiare da soli le sfide del reinserimento lavorativo e sociale.
Le testimonianze come quella di Amine aprono una finestra su una realtà carceraria spesso invisibile agli occhi della società, mostrando le contraddizioni e le sfide di un sistema che dovrebbe mirare non solo a punire, ma soprattutto a rieducare e reintegrare. La strada verso una riforma effettiva del sistema penitenziario minorile appare ancora lunga e tortuosa, ma la condivisione di queste esperienze contribuisce a illuminare i passaggi necessari per avviarsi in quella direzione.