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Condanne per i giovani “giustizieri” che adescavano pedofili
Due giovani, di 20 e 19 anni, e un minorenne, hanno ricevuto la sentenza di condanna per aver messo in atto una serie di rapine e sequestri ai danni di uomini che cercavano incontri sessuali con minori attraverso una chat gay. La decisione è stata presa dal gup Piera De Stefani, che ha inflitto 6 anni e 3 mesi di reclusione al 20enne, difeso dall’avvocato Elisa Berton, e 6 anni e 10 giorni per il 19enne, rappresentato dall’avvocato Nicoletta Gasbarro. Entrambe le difese hanno annunciato l’intenzione di presentare ricorso in appello. La Procura dei minori di Venezia procede separatamente per il 16enne coinvolto.
Il processo, che ha visto i giovani accusati di rapina pluriaggravata, sequestro di persona, indebito utilizzo di carte di credito e porto di oggetti atti a offendere, ha destato notevole attenzione mediatica. Le pene comminate sono risultate inferiori rispetto a quelle richieste dal pubblico ministero Barbara Sabbatini, con il giudice che ha inglobato il sequestro di persona nel reato più grave, senza riconoscere agli imputati il vizio parziale di mente.
Inspirazione da una docu-serie e una trappola ben congegnata
I fatti contestati risalgono a un periodo compreso tra giugno 2022 e febbraio 2023, con i ragazzi che avrebbero utilizzato l’applicazione Grinder per adescare le vittime, promettendo incontri erotici per poi sequestrarle e rapinarle. Questa metodologia ricorda quella mostrata nella docu-serie statunitense “To catch a predator”, che mira a smascherare i pedofili. Il blitz che ha portato all’arresto dei giovani è scattato a seguito di segnalazioni di movimenti sospetti in un casolare a Vedelago, dove è stata liberata una delle vittime, un uomo di 50 anni, trovato immobilizzato e con evidenti segni di percosse.
Le indagini hanno poi portato alla luce altri sette casi simili, con vittime tutte di età compresa tra i 40 e i 60 anni. La maggior parte di loro, per vergogna, non aveva denunciato le violenze subite. La ricostruzione dei contatti social dei ragazzi ha permesso di identificarle. Sei delle vittime, dopo essere state risarcite, hanno ritirato la querela per sequestro di persona, mentre due si sono costituiti parte civile nel processo, chiedendo un risarcimento danni.
Risarcimenti stabiliti e una comunità all’erta
Nella sentenza, il giudice ha anche stabilito un risarcimento per le due vittime che si sono costituite parte civile, sebbene a una cifra inferiore rispetto a quella richiesta. Questo episodio ha suscitato un ampio dibattito sulla sicurezza online e sui pericoli legati all’utilizzo di app di incontri, soprattutto quando minori o soggetti vulnerabili sono coinvolti.
Le reazioni della comunità e dei media hanno sottolineato l’importanza di un approccio più consapevole e protettivo nei confronti dei minori su internet. Allo stesso tempo, la vicenda ha messo in luce la difficoltà di contrastare fenomeni di giustizia fai-da-te, che pur nascendo da intenti punitivi, finiscono per trasgredire la legge e infrangere i diritti umani.
La sentenza rappresenta un precedente significativo in materia di giustizia e sicurezza online, evidenziando come la lotta contro la pedofilia richieda strumenti legali e investigativi adeguati, oltre a una maggiore sensibilizzazione su queste tematiche. In attesa delle motivazioni della sentenza, che verranno depositate nei prossimi 90 giorni, la comunità segue con attenzione gli sviluppi di questo caso, auspicando strategie più efficaci per proteggere i minori e prevenire abusi.
La vicenda solleva interrogativi etici e legali complessi, spingendo a riflettere sulla responsabilità individuale e collettiva nel proteggere i più vulnerabili nella società digitale del XXI secolo. Con il crescente utilizzo delle tecnologie digitali, diventa sempre più urgente trovare un equilibrio tra libertà individuale e sicurezza collettiva, affrontando le sfide poste dalla criminalità informatica con risposte giuridiche, culturali ed educative adeguate.