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La sentenza definitiva per l’assassino di Niccolò Ciatti: 23 anni a Rassoul Bissoultanov
La Corte di Cassazione ha emesso la sentenza definitiva nel caso dell’omicidio di Niccolò Ciatti, il giovane toscano tragicamente scomparso nel 2017 a Lloret de Mar, in Spagna. Dopo ore di attenta deliberazione, i giudici hanno confermato la condanna a 23 anni di reclusione per Rassoul Bissoultanov, ritenuto l’autore materiale del brutale atto. La decisione è stata accolta con sentimenti contrastanti da Luigi Ciatti, padre della vittima, presente alla lettura del verdetto. “Credo sia stata riconosciuta la colpevolezza di Bissoultanov. Questo è il primo passo ma adesso va ricercato affinché vada in carcere perché purtroppo Niccolò non può fare quello che fa lui e non è giusto”, ha dichiarato con evidente amarezza.
Il caso ha sollevato numerose polemiche, soprattutto per il fatto che Bissoultanov, estradato in Italia dalla Germania nel dicembre 2021, sia tornato in libertà poco dopo a causa di una istanza accolta dai giudici per un difetto di procedura. Da allora, l’uomo è di fatto irreperibile, aggiungendo ulteriore dolore alla famiglia Ciatti per l’impossibilità di vedere il responsabile dietro le sbarre.
La ricostruzione dell’accusa e la forza letale di una conoscenza marziale
Nel corso della requisitoria, il procuratore generale ha sottolineato la gravità dell’azione compiuta da Bissoultanov, evidenziando come l’imputato, esperto di arti marziali, fosse pienamente consapevole della sua forza. “Ha messo in atto la sua azione nei confronti di una persona inerme e indifesa”, ha affermato il magistrato, mettendo in luce la premeditazione e la consapevolezza delle proprie azioni. Secondo l’accusa, non ci sono dubbi sulla natura intenzionale dell’omicidio, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa che aveva invocato una qualifica di omicidio preterintenzionale.
Il colpo mortale, un calcio, è stato inferto mentre Niccolò Ciatti era inerme, ancora stordito da un precedente pugno. Questa azione, secondo gli inquirenti, viola ogni principio di onore nel combattimento, risalente a epoche antiche, che proibisce di colpire un avversario a terra. “La conoscenza approfondita della lotta da combattimento consentiva all’imputato di avere piena consapevolezza della potenzialità letale del calcio”, hanno sottolineato i giudici, evidenziando come la perizia marziale di Bissoultanov abbia giocato un ruolo chiave nella fatalità degli eventi.
Un dolore senza fine per la famiglia Ciatti e la richiesta di giustizia
Il lungo processo giudiziario non ha fatto altro che prolungare il dolore e l’angoscia della famiglia Ciatti, che da anni chiede giustizia per Niccolò. Il verdetto di condanna rappresenta un passo importante in questo difficile percorso, ma la battaglia della famiglia non è ancora conclusa. La preoccupazione principale resta la libertà dell’imputato, che, nonostante la condanna, continua a sottrarsi alla giustizia.
La sentenza di 23 anni a Rassoul Bissoultanov chiude un capitolo della vicenda, ma apre allo stesso tempo interrogativi sulla capacità dei sistemi giudiziari internazionali di far fronte a casi del genere, in cui i colpevoli riescono a evadere la cattura grazie a lacune procedurali o a disfunzioni burocratiche. La speranza è che questo caso possa fungere da monito affinché simili tragedie non restino impunite e che la giustizia possa prevalere, offrendo un minimo di sollievo alle vittime e ai loro cari.
La comunità locale e quella internazionale continuano a seguire da vicino il caso, con la consapevolezza che solo attraverso un impegno congiunto si può sperare di affrontare efficacemente la violenza e l’ingiustizia. La lotta della famiglia Ciatti è diventata simbolo di una battaglia più ampia contro l’impunità e per l’affermazione dei diritti umani, nella speranza che nessun altro debba mai soffrire una perdita così devastante e ingiusta.