La cattura di ‘Sandokan’: un’operazione che ha segnato la storia
Il 11 luglio del 1998 rimane una data impressa nella memoria collettiva della lotta alla criminalità organizzata in Italia, quando Francesco Schiavone, conosciuto con il soprannome di ‘Sandokan’, venne arrestato dopo mesi di indagini serrate. L’operazione ‘Yanez’ si concluse con successo grazie al lavoro meticoloso e alla perseveranza degli investigatori, tra cui spiccava il vicequestore Sergio Sellitto, all’epoca in servizio presso la Direzione investigativa antimafia (DIA). Oggi, a distanza di anni, Sellitto, che conta 63 anni e ricopre la carica di dirigente all’Interporto Campano, ci offre uno sguardo retrospettivo su quell’evento, svelando particolari e momenti chiave che hanno portato alla cattura di uno dei boss più ricercati.
Le intercettazioni e l’inganno delle sirene
L’indagine si concentrò su Schiavone dall’inverno precedente alla sua cattura. Diverse telefonate intercettate avevano inizialmente tratto in inganno gli investigatori, facendo pensare che il latitante si fosse rifugiato nell’Alta Italia. Tuttavia, fu proprio una telefonata a rivelare il suo vero nascondiglio a Casal di Principe. Sellitto ricorda: ‘La moglie del latitante, Giuseppina Nappa, udì delle sirene e, temendo un’operazione di polizia, decise di uscire facendo credere di andare a fare un giro in auto’. In realtà, quelle sirene appartenevano ai vigili del fuoco diretti verso un incendio, ma fu questo dettaglio a fornire agli investigatori la conferma che Schiavone non era lontano.
La notte dell’arresto
La scoperta dell’abitazione dove Schiavone si nascondeva, a breve distanza dalla sua casa, fu decisiva. L’accesso non fu semplice: ‘Ci riuscimmo seguendo la figlia del proprietario che rientrava’, racconta Sellitto. Nonostante l’arrivo degli investigatori, il boss non si arrese immediatamente. La casa fu perquisita in ogni angolo, ma Schiavone sembrava scomparso nel nulla. Un dettaglio inaspettato, tuttavia, portò alla sua localizzazione: un bunker nascosto nel cortile dell’edificio, rivelato da una telefonata disperata di un’amica della moglie di Schiavone. ‘Mettendo dei lacrimogeni all’interno delle condotte che portavano al bunker, sentimmo la voce del latitante che si arrendeva per proteggere i bambini presenti con lui’, racconta ancora Sellitto.
L’operazione si concluse con l’arresto di Francesco Schiavone e la liberazione dei suoi familiari, che si trovavano con lui nel bunker. Questo episodio non solo segnò la fine della latitanza di uno dei criminali più ricercati d’Italia, ma dimostrò anche l’efficacia e la determinazione delle forze dell’ordine nel perseguire i propri obiettivi, nonostante le difficoltà e i rischi.
Le riflessioni di un veterano della lotta alla mafia
La testimonianza di Sergio Sellitto, a oltre due decenni di distanza, offre una preziosa introspezione su una delle pagine più significative della storia della lotta alla criminalità organizzata in Italia. La strategia investigativa, l’uso delle intercettazioni e la capacità di sfruttare ogni minimo indizio hanno giocato un ruolo fondamentale nell’operazione ‘Yanez’. Allo stesso tempo, l’episodio delle sirene dimostra come, talvolta, anche gli eventi più casuali possano assumere un significato cruciale in contesti così complessi.
La cattura di ‘Sandokan’ non rappresenta soltanto un successo operativo, ma simboleggia anche la resilienza e l’impegno costante delle autorità nel garantire giustizia e sicurezza sul territorio nazionale. La dedizione di figure come Sergio Sellitto e dei suoi colleghi rimane un esempio luminoso per tutti coloro che, ancora oggi, lavorano senza sosta per contrastare la criminalità organizzata, dimostrando che nessun ostacolo è insormontabile di fronte alla determinazione e alla professionalità.