La proposta della tessera sanitaria a punti: un’innovazione o un’ingerenza?
L’assessore al Welfare della Lombardia, Guido Bertolaso, ha sollevato un dibattito acceso proponendo l’istituzione di una “tessera sanitaria a punti” per promuovere uno “stile di vita corretto”. Secondo Bertolaso, coloro che adottano abitudini salutari accumuleranno punti che potranno poi tradursi in “incentivi”, quali premi e agevolazioni. Questo sistema, per certi versi, ricorda la raccolta di bollini promozionali, ma con l’obiettivo di favorire comportamenti salutari anziché l’accumulo di beni materiali. Bertolaso ha dichiarato: “L’idea che dobbiamo portare avanti e studiare è quella di una tessera sanitaria a punti in modo che se conduci uno stile di vita corretto e salutare puoi guadagnare dei punti che poi ti permettono di ricevere degli incentivi che possono essere diverse modalità di premialità.” Questo approccio solleva però diverse perplessità: chi valuterà l’aderenza agli “stili di vita corretti” e quali saranno i criteri adottati per determinare tali comportamenti salutari? C’è il rischio che si debba fare affidamento principalmente sulle dichiarazioni dei partecipanti, con tutte le possibili implicazioni legate alla soggettività e alla veridicità delle informazioni fornite.
Le implicazioni della proposta: incentivi in cambio di salute?
L’idea della tessera sanitaria a punti solleva questioni etiche e pratiche significative. Mentre Bertolaso aspira a raggiungere una copertura al 100% per gli screening delle malattie prevenibili, ci si chiede come questa proposta possa essere attuata efficacemente senza incorrere in controlli invasivi o discriminazioni. Se da un lato si auspica una maggiore prevenzione e un risparmio sui costi sanitari, dall’altro sorge il timore di una possibile ingerenza nella sfera personale e nel diritto alla privacy dei cittadini. La proposta della tessera sanitaria a punti, se da un lato potrebbe incentivare comportamenti salutari, dall’altro potrebbe creare disparità sociali e favorire un controllo eccessivo da parte delle istituzioni sulla vita privata dei cittadini. Inoltre, la definizione di cosa costituisca uno “stile di vita corretto” potrebbe essere soggetta a interpretazioni variegate e potenzialmente discriminatorie. Questo solleva dubbi sul reale impatto di un simile sistema e sulla sua effettiva capacità di promuovere la salute pubblica in maniera equa e trasparente.