Incursione sotto copertura a Jenin: la tattica israeliana e le tensioni in Cisgiordania
Un raid dei soldati israeliani all’interno di un ospedale di Jenin ha riacceso la discussione sulla tattica militare utilizzata dalle forze di difesa israeliane (IDF). Sotto l’inganno di essere civili arabi, gli agenti hanno condotto un’operazione per catturare presunti militanti di Hamas. La scena, che sembra tratta da una serie televisiva, ha visto i soldati entrare nell’ospedale “travestiti da arabi”, con abiti civili tipici e, tra questi, una donna con il velo, un infermiere ed un individuo che portava una sedia a rotelle.
Le forze speciali, note come Duvdevan, hanno utilizzato questa tattica di infiltrazione, che ha suscitato ampio dibattito. Il loro obiettivo principale era Mohammed Walid Jalamna, descritto dall’intelligence israeliana come un comandante di Hamas che manteneva contatti con leader esteri e si riteneva stesse pianificando attacchi contro insediamenti ebraici. Altri due uomini, Basil Ayman Al Ghazawi e suo fratello Mohammed, sono stati definiti dalle fonti militari come “una bomba a orologeria”, un eufemismo per indicare estremisti sul punto di attuare un attacco.
La condizione dei pazienti e le dichiarazioni dei medici
I medici palestinesi hanno fornito una prospettiva differente, sottolineando come Basil fosse stato più volte ricoverato a causa di una paralisi parziale subita in seguito a un bombardamento. Hanno anche evidenziato che i fratelli Al Ghazawi e Jalamna trascorrevano molto tempo nella stanza d’ospedale, forse in funzione di protezione. Un medico ha spiegato che “nessuno ha notato il commando israeliano perché sono entrati uno alla volta”.
Strategie israeliane e la risposta palestinese
L’azione delle forze speciali israeliane a Jenin non è stata solo una mossa tattica, ma sembra anche essere stata calcolata rispetto al suo impatto mediatico e psicologico. L’uso di videocamere e la consapevolezza della divulgazione dei filmati sui social media suggeriscono una potenziale mossa di guerra psicologica. Questo atto può essere interpretato come un messaggio diretto ai miliziani di Jenin: l’IDF è in grado di raggiungere i propri obiettivi in qualsiasi luogo.
Il campo di rifugiati di Jenin rimane un simbolo di resistenza per la popolazione palestinese, in particolare dopo la demolizione degli archi di pietra all’ingresso da parte delle truppe israeliane. La memoria della Seconda intifada e delle battaglie combattute 21 anni fa, ancora vive nella memoria collettiva, alimenta il senso di resistenza. La situazione attuale vede gruppi di giovani, riunitisi nelle cosiddette Brigate Jenin, che si stanno distaccando dalle fazioni tradizionali come il Fatah di Yasser Arafat e sono sempre più influenzati dalle posizioni di Hamas.
Impatto dell’operazione sulla situazione in Cisgiordania
Le incursioni dell’esercito israeliano in Cisgiordania sono diventate un evento quotidiano, e da ottobre sono stati segnalati quasi 400 palestinesi uccisi. L’operazione di Jenin si inserisce in un contesto di crescente tensione e violenza, che mette in luce la complessità e la fragilità della situazione nella regione.
Conclusioni e riflessioni
L’incursione sotto copertura a Jenin ha messo in luce le difficoltà e le sfide legate alla sicurezza e alla convivenza in Cisgiordania. Mentre le forze israeliane ricorrono a tattiche sofisticate per contrastare le minacce percepite, la popolazione palestinese vive quotidianamente le conseguenze di queste operazioni. La narrazione di resistenza e le rappresaglie annidano nel cuore di un conflitto che non mostra segni di placarsi. Di fronte a un tale scenario, la comunità internazionale osserva con apprensione, sperando in soluzioni che garantiscano pace e sicurezza per entrambe le parti.