Vivendi si astiene dal voto in TIM: una mossa che avvicina la riconferma di Labriola
Il panorama aziendale di TIM è in fermento in vista dell’assemblea dei soci, con il colosso delle telecomunicazioni che si prepara a una svolta decisiva per il suo futuro. La decisione di Vivendi, primo azionista dell’azienda con una quota del 23,7%, di astenersi dal voto sulle nomine chiave, tra cui quella del CEO e del presidente, segna un momento cruciale per la governance di TIM. Questa mossa, inaspettata da molti osservatori del settore, avvicina significativamente la riconferma di Pietro Labriola come amministratore delegato, un ruolo che ricopre con il sostegno di vari azionisti di peso.
Labriola, che guida la lista del board uscente insieme ad Alberta Figari, candidata presidente, poteva già contare sul sostegno di entità importanti quali Cdp (9,9%), Assogestioni, Asati (piccoli azionisti) e fondi internazionali prestigiosi, quali BlackRock, Amundi, Norges Bank e Vanguard. La posizione di Vivendi, che ha scelto di non partecipare attivamente alle decisioni riguardanti le nomine, lascia intravedere una vittoria quasi scontata per il management attuale nell’imminente assemblea.
Le implicazioni dell’astensione di Vivendi e lo scenario competitivo
L’astensione di Vivendi non riguarda solo le nomine di vertice ma si estende a tutti i punti all’ordine del giorno, inclusa la proposta di ottimizzazione della struttura di governance attraverso la riduzione del numero dei consiglieri. Questa decisione sottolinea un progressivo disimpegno dell’azienda francese dalle dinamiche gestionali di TIM, considerando la sua partecipazione più come un investimento finanziario che come un impegno industriale attivo.
Di fronte a questa situazione, l’attenzione si sposta sulle liste alternative, come quella proposta da Merlyn Capital, che sembra aver raccolto circa il 5% delle preferenze attraverso la sollecitazione delle deleghe di voto. Nonostante questo, l’influenza di tali minoranze appare limitata, soprattutto alla luce della non partecipazione di Vivendi. Allo stesso tempo, l’astensione del principale azionista potrebbe aprire scenari imprevisti, dando voce a correnti minoritarie più battagliere nei confronti del piano industriale delineato da Labriola, soprattutto dopo la vendita della rete a Kkr.
La vendita della rete a Kkr e il futuro di TIM
La vendita della rete di TIM a Kkr rappresenta uno degli snodi cruciali per il futuro dell’azienda. Questa operazione, che ha ricevuto luce verde dal cda lo scorso novembre, è attualmente al vaglio della Commissione Europea. Con una data indicativa fissata al 30 maggio per completare l’istruttoria, il completamento dell’operazione entro l’estate sembra un obiettivo realistico, a meno di obiezioni da parte dell’Antitrust europeo.
Nonostante l’approvazione dell’operazione, Vivendi non sembra intenzionata a rimanere inerte, proseguendo nel suo ricorso giudiziario contro la delibera di vendita. Questa posizione di contrasto evidenzia la complessità delle dinamiche interne a TIM e il possibile impatto delle decisioni strategiche sull’assetto azionario e gestionale dell’azienda.
Un contesto europeo in evoluzione
Il caso di TIM si inserisce in un contesto europeo in rapida evoluzione, dove le grandi manovre nel settore delle telecomunicazioni riflettono l’importanza strategica delle infrastrutture digitali. L’Italia, insieme agli altri paesi dell’Unione Europea e agli Stati Uniti, è al centro di questo scenario dinamico, dove innovazioni tecnologiche e decisioni politiche si intrecciano con le storie aziendali.
L’astensione di Vivendi, pertanto, va oltre la mera questione societaria di TIM, toccando temi più ampi legati alla governance delle infrastrutture critiche in Europa e alla posizione degli investitori internazionali nei confronti delle grandi aziende del continente. In questo scenario, la figura di Labriola emerge come centrale, non solo per il futuro di TIM ma anche per il più ampio dibattito sull’evoluzione del settore delle telecomunicazioni in Italia e in Europa.