Gaza, un fragile spiraglio di tregua
La situazione a Gaza rimane tesa e incerta. Da dodici anni, l’emiro del Qatar ospita i leader di Hamas, ma un recente avvertimento potrebbe cambiare le cose. Antony Blinken, segretario di Stato degli Stati Uniti, ha trasmesso al premier del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, un messaggio chiaro: Hamas deve prepararsi a lasciare il paese. Questa mossa fa parte di un tentativo più ampio di mediazione, che mira a trovare una soluzione al conflitto che perdura dal 2007, quando Hamas ha preso il controllo di Gaza con la forza.
Antony Blinken sta esercitando tutte le pressioni possibili affinché Hamas accetti l’ultima proposta di tregua discussa in Egitto. La proposta prevede una pausa nei combattimenti suddivisa in tre fasi. La prima fase, della durata di sei settimane, prevede il rilascio di 33 ostaggi israeliani, tra cui donne, minori, anziani e malati. Nei passaggi successivi, soldati e uomini sotto i 50 anni verrebbero scambiati con detenuti palestinesi.
Le condizioni per una tregua
Secondo fonti saudite, gli israeliani sarebbero pronti a scarcerare Marwan Barghouti, condannato a cinque ergastoli, a patto che si trasferisca a Gaza. Barghouti, considerato da molti l’unico possibile successore dell’anziano presidente palestinese Abu Mazen, è originario della Cisgiordania, dove vive la sua famiglia.
Nel frattempo, i rappresentanti di Hamas si trovano al Cairo per le negoziazioni. Tuttavia, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha rinviato la partenza della delegazione guidata dal direttore del Mossad. Netanyahu ha anche cercato di ridurre le aspettative riguardo a una svolta nei negoziati, affermando che l’esercito israeliano procederà comunque con l’invasione di Rafah e che un cessate il fuoco permanente non è possibile.
Tzahi Hanegbi, consigliere per la Sicurezza Nazionale e fedelissimo di Netanyahu, ha ribadito che le truppe entreranno a Rafah “molto presto” e che Yahya Sinwar, il pianificatore dei massacri del 7 ottobre, “non resterà vivo”. Sinwar avrebbe l’ultima parola sul possibile accordo, ma secondo il Canale 12 israeliano, i segnali “positivi” potrebbero essere solo una tattica per guadagnare tempo.
La pressione cresce
La pressione cresce non solo sui leader politici, ma anche sui famigliari degli ostaggi. Le manifestazioni di protesta a Tel Aviv hanno radunato migliaia di persone, chiedendo che l’intesa venga finalizzata e invocando le dimissioni del governo. Dopo una pausa nei combattimenti a novembre, ancora 133 ostaggi sono tenuti prigionieri dai terroristi, e l’intelligence israeliana ha dichiarato una trentina di questi ostaggi come morti.
Gli abitanti di Gaza sono in una situazione disperata. “La carestia sta per scoppiare ed è già in corso nel nord della Striscia”, denuncia Cindy McCain, direttrice del Programma Alimentare Mondiale. Gli Stati Uniti hanno sospeso la costruzione di un porto flottante al largo della Striscia, che avrebbe dovuto facilitare l’afflusso di aiuti nelle aree più colpite dalla fame. Le condizioni avverse del mare hanno reso impossibile la continuazione dei lavori, mentre il numero di palestinesi uccisi in 211 giorni di guerra è salito a quasi 35 mila.
Un possibile futuro accordo
Nonostante le difficoltà, alcune speranze rimangono. I negoziatori stanno esplorando tutte le opzioni possibili per arrivare a un accordo. Gli Stati Uniti e altre potenze internazionali continuano a esercitare pressioni su entrambe le parti, cercando di trovare un compromesso che possa portare a una tregua duratura.
L’intervento di Blinken e le pressioni sul Qatar rappresentano un tentativo di influenzare positivamente la situazione. Tuttavia, le dichiarazioni di Netanyahu e Hanegbi indicano che Israele non è disposto a fare concessioni significative senza garanzie concrete. Questo crea un ambiente di negoziazione estremamente delicato, dove ogni mossa deve essere calibrata attentamente.
La comunità internazionale osserva con attenzione gli sviluppi, consapevole che una soluzione al conflitto di Gaza potrebbe avere implicazioni ben oltre i confini della Striscia. La stabilità della regione dipende in gran parte da un accordo che possa soddisfare entrambe le parti, almeno in parte.
La vita quotidiana a Gaza
Intanto, la vita quotidiana a Gaza continua ad essere un inferno per molti dei suoi abitanti. La mancanza di risorse essenziali come cibo e acqua potabile, combinata con le continue tensioni militari, rende la situazione insostenibile. Le organizzazioni umanitarie lavorano incessantemente per fornire assistenza, ma le difficoltà logistiche e le restrizioni imposte dalle autorità rendono il loro lavoro estremamente complesso.
Nonostante le numerose sfide, la popolazione di Gaza cerca di mantenere una parvenza di normalità. Le scuole, quando possibile, continuano a funzionare, e le famiglie cercano di andare avanti con le loro vite. Tuttavia, la costante minaccia di violenza e la presenza di forze militari rendono ogni giorno una lotta per la sopravvivenza.