La trattativa per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas sembra aver raggiunto un punto di svolta. Secondo autorevoli media di Paesi arabi moderati coinvolti nelle negoziazioni, ci sarebbero stati intensi contatti tra mediatori e negoziatori di entrambe le parti. Il quotidiano saudita “Ashraq” e il canale egiziano “Al Rad” riportano che si è giunti a un accordo su molti punti, anche se non si è ancora arrivati a un cessate il fuoco definitivo.
Ottimismo moderato e tensioni in corso
In una giornata contrassegnata dal cauto ottimismo, un alto funzionario di Hamas ha dichiarato al ‘Times of Israel’ che il gruppo terroristico ‘non accetterà in nessuna circostanza’ una tregua a Gaza che non includa esplicitamente la fine completa della guerra. Questa dichiarazione è stata fatta in forma anonima, aggiungendo ulteriore incertezza alla situazione.
La delegazione di Hamas, guidata dal vice di Haniye, Khalil al Hayya, è arrivata al Cairo per riprendere il filo interrotto delle trattative una decina di giorni fa, determinata a garantire un accordo. Nella capitale egiziana è giunto anche il capo della CIA, William Burns, per seguire da vicino l’andamento delle trattative.
Indiscrezioni e dichiarazioni d’intenti
Tra le indiscrezioni che circolano, la più clamorosa è quella del possibile rilascio di Marwan Barghouti, leader di Fatah e simbolo della seconda intifada, condannato a diversi ergastoli e attualmente detenuto nel carcere di Hadarim, vicino a Natanya. Secondo il quotidiano saudita, il suo rilascio potrebbe avvenire solo a condizione che Barghouti parta per l’estero o per Gaza, escludendo il ritorno in Cisgiordania.
Il rilascio di Barghouti, se confermato, non avverrebbe nella prima fase dell’accordo. In questa fase, che durerà sei settimane, dovrebbero essere liberati tre ostaggi civili al giorno in cambio di 20 prigionieri palestinesi per ciascun ostaggio. I prigionieri palestinesi saranno scelti con criteri analoghi e dovranno avere una pena residua inferiore a 10 anni.
Prima fase dell’accordo
Durante la prima fase dell’accordo, sarebbe prevista una parziale uscita dell’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza, il divieto di sorvolo aereo per otto ore al giorno e il ritorno degli sfollati al nord senza limitazioni. Le soldatesse prese in ostaggio avranno un ‘prezzo’ raddoppiato: 20 detenuti con pene pesanti e altrettanti con pene inferiori a 10 anni per ogni soldatessa.
La seconda fase dell’accordo includerebbe il rilascio dei soldati in cambio di 40 detenuti per ciascuno, metà dei quali con pene pesanti. Durante questa fase dovrebbero essere gettate le basi per la ricostruzione della Striscia di Gaza.
La complessità del percorso
La lettura delle indiscrezioni rende evidente la complessità del percorso da affrontare. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato che ‘indipendentemente dagli accordi’, l’operazione di terra a Rafah si farà. Dichiarazione confermata da fonti anonime vicine al governo, secondo cui Israele non accetterà mai la fine della guerra come parte dell’accordo sugli ostaggi.
Il leader dell’opposizione, Benny Gantz, che è entrato a far parte del Gabinetto di guerra, ha criticato queste dichiarazioni. ‘La risposta di Hamas non è ancora stata ricevuta. Quando arriverà, il Gabinetto si riunirà e delibererà. Suggerisco a fonti diplomatiche e ai ‘decisori’ di mantenere la calma’, ha affermato Gantz.
Pressioni internazionali
Nel frattempo, gli Stati Uniti continuano a fare pressioni su Israele e chiedono al Qatar di espellere i capi di Hamas che ospita da anni, nel caso in cui facciano saltare la trattativa. Questa richiesta aggiunge ulteriore pressione sulla già complessa situazione, rendendo ancora più incerto l’esito delle negoziazioni.
La partenza dei negoziatori israeliani per il Cairo sarebbe già un segno positivo, ma ci vorrà ancora del tempo per capire se il momento dell’accordo sia veramente arrivato. Le dichiarazioni e le posizioni delle varie parti coinvolte rendono il quadro estremamente complesso e difficile da risolvere in tempi brevi.