Il declino delle élite universitarie francesi: un’analisi del Professor Kepel
PARIGI — Il Professor Gilles Kepel, uno dei maggiori esperti mondiali di Medio Oriente, ha recentemente pubblicato in Francia il libro «Olocausti» su Israele, Gaza e «la guerra contro l’Occidente». L’opera uscirà in Italia dopo l’estate per Feltrinelli. Con una carriera trentennale a Sciences Po, una delle principali istituzioni accademiche francesi, Kepel ha espresso preoccupazione per l’attuale stato della scuola.
«È il crollo di un’istituzione fondamentale, che ha capitolato di fronte all’ideologia woke e ha rinunciato alla trasmissione del sapere», ha dichiarato Kepel, sottolineando come il declino fosse iniziato molti anni fa. La decisione di aprire Sciences Po a studenti delle periferie, pur positiva in teoria, non ha prodotto i risultati sperati.
La democratizzazione dell’accesso e i suoi limiti
Kepel non era contrario all’apertura dell’istituzione a studenti provenienti dalle banlieue. Anzi, aveva supportato l’iniziativa e aveva personalmente insegnato nei licei di periferia per preparare i ragazzi al concorso d’ingresso. Tuttavia, secondo lui, il problema è stato non mantenere alto il livello degli studenti e della direzione.
«Dopo la morte tragica di Descoings, alla testa di Sciences Po si sono succeduti due alti funzionari venuti dall’Ena, non due professori. Si è puntato tutto sulla democratizzazione e sulla internazionalizzazione della scuola, il che poteva andare bene, ma si è trascurato il sapere», ha spiegato Kepel. Questo ha portato a una situazione in cui l’istituzione ha perso la sua raison d’être profonda.
Il parallelo con i campus americani
La crisi di Sciences Po non è un fenomeno isolato ma si inserisce in un contesto più ampio di cambiamenti nelle istituzioni accademiche occidentali. «Lo si vede bene nel comunicato con il quale una settimana fa l’attuale amministratore provvisorio di Sciences Po ha annunciato la tenuta di un town hall, ovvero un incontro tra direzione e studenti, facendo un copia incolla dal gergo dei campus americani», ha osservato Kepel.
L’influenza della France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, che vede nel 7 ottobre una re-definizione degli equilibri globali, è evidente. «In questo senso il 7 ottobre è peggiore dell’11 settembre», ha affermato Kepel, spiegando che mentre dopo l’11 settembre l’Occidente reagì compatto, dopo le atrocità del 7 ottobre una parte dell’Occidente si schiera con i carnefici.
La polarizzazione delle proteste
Le recenti proteste pro-Palestina nei campus universitari, inclusa Sciences Po, hanno sollevato questioni complesse. «Certamente è lecito denunciare le migliaia di civili palestinesi uccisi dalle scelte del premier israeliano Netanyahu», ha riconosciuto Kepel. Tuttavia, ha aggiunto, «quando vengono totalmente dimenticati il massacro del 7 ottobre e il fatto che ci sono ancora oltre 100 ostaggi nelle mani di Hamas, allora la protesta diventa meno basata sui fatti e più sull’ideologia».
Questo clima di tensione si è manifestato quando manifestanti pro-Israele e pro-Palestina si sono scontrati davanti a Sciences Po. L’anfiteatro Boutmy, dove Kepel ha tenuto molte lezioni, è stato ribattezzato anfiteatro Gaza, un segnale preoccupante per l’accademico.
Il «jihadismo d’atmosfera» e i rischi futuri
In un precedente libro, Kepel ha parlato di «jihadismo d’atmosfera», un concetto che ritiene ancora rilevante oggi. «Non ci sono violenze, almeno per il momento, per fortuna. Ma questo clima, alimentato per anni dai Fratelli musulmani, ha favorito le uccisioni dei professori Samuel Paty e Dominique Bernard», ha spiegato Kepel.
L’accademico teme che qualcuno possa sfruttare la situazione attuale, collegando eventi come le Olimpiadi alla causa palestinese, come accadde nel 1972 a Monaco. La sua speranza è che si possa ritrovare un equilibrio tra la necessità di democratizzare l’accesso all’istruzione e l’importanza di mantenere alti standard accademici.
Il futuro delle istituzioni accademiche
Il declino di Sciences Po, secondo Kepel, è un esempio di come le istituzioni accademiche possano perdere la loro direzione quando cedono troppo facilmente a pressioni ideologiche. «L’educazione dovrebbe essere un luogo di confronto argomentato di tutte le posizioni, non un campo di battaglia ideologico», ha concluso Kepel.
Il caso di Sciences Po solleva interrogativi più ampi su come le università possano bilanciare l’apertura e l’inclusività con la necessità di mantenere l’eccellenza accademica.