Le speranze di una tregua a Gaza sembrano vacillare sotto il peso di nuovi bombardamenti e violenti scontri. Ieri, mentre una delegazione di Hamas discuteva al Cairo con i mediatori egiziani una possibile tregua con Israele, gli attacchi aerei su diverse aree di Gaza non si sono fermati. Gli F-16 e i droni israeliani hanno colpito duramente il campo profughi di Nuseirat, considerato da Israele una ‘roccaforte’ di uno dei battaglioni di Hamas nell’area centrale della Striscia. Le esplosioni hanno lasciato dietro di sé morti e feriti, estratti dalle macerie di una casa in via Ahmed Yassin, nella zona di Al-Saftawi, nel nord di Gaza.
Un’altra abitazione è stata colpita in pieno vicino alla stazione di polizia in via Salah al Din, e bombe hanno centrato la moschea di Al Fukhari, a est di Khan Younis, oltre alle località di al Mughraqa e az-Zahra. L’artiglieria israeliana ha bombardato intensamente le aree settentrionali di Beit Lahiya. Intanto, in Cisgiordania, a Deir al Ghusoun (Tulkarem), cinque combattenti palestinesi sono stati uccisi durante quella che il portavoce israeliano ha definito una ‘operazione antiterrorismo’. L’esercito ha imposto il coprifuoco, circondando e infine distruggendo con ruspe e razzi anticarro due abitazioni dove i combattenti palestinesi avevano trovato rifugio.
La proposta di tregua e le trattative al Cairo
Nonostante i violenti scontri, la giornata di ieri era stata inizialmente descritta come quella ‘giusta’ per una tanto attesa tregua a Gaza, desiderata da oltre due milioni di civili. Secondo indiscrezioni riportate dal giornale saudita Sharq e successivamente dai media israeliani e palestinesi, Hamas sembrava disposto ad accettare la proposta egiziana per un cessate il fuoco. Questo risultato sarebbe stato frutto del pressing continuo degli Stati Uniti, rappresentati dal Segretario di Stato Antony Blinken, dell’Egitto e in parte del Qatar sulla leadership politica di Hamas.
La bozza di intesa consisterebbe in tre fasi di 40, 42 e 42 giorni senza combattimenti. Nella prima fase, Hamas rilascerebbe 33 dei circa 130 ostaggi israeliani detenuti a Gaza; nella seconda fase, verrebbero liberati gli altri ostaggi vivi; nella terza fase, ci sarebbe uno scambio di salme tra le due parti. Tra i punti principali dell’accordo, vi sarebbe la scarcerazione di un numero ancora indefinito di prigionieri palestinesi. Un giornale saudita ha ipotizzato la possibile liberazione di Marwan Barghouti, il ‘Mandela palestinese’, sebbene Israele non gli consentirebbe di tornare a Ramallah, costringendolo invece a un confino a Gaza.
Le dichiarazioni ufficiali e le condizioni di Hamas
Le dichiarazioni ufficiali delle due parti restano cruciali, e fino a ieri sera, il nodo principale da sciogliere era la durata della tregua. Hamas insiste per la fine dell’offensiva israeliana e un cessate il fuoco permanente. Tuttavia, Israele, tramite ‘anonimi funzionari governativi’ (forse lo stesso Netanyahu), ha escluso la cessazione della guerra, spegnendo l’entusiasmo di alcuni. Tel Aviv ha annunciato che una delegazione israeliana si recherà al Cairo solo se Hamas fornirà una risposta che apra un orizzonte per i negoziati. Netanyahu aveva dichiarato che, con o senza la liberazione degli ostaggi, Israele attaccherà la città di Rafah.
Un dirigente israeliano ha ribadito al Times of Israel: ‘Come deciso dai vertici politici, l’esercito entrerà a Rafah e distruggerà i rimanenti battaglioni di Hamas’. Queste parole hanno placato l’ira dei ministri dell’estrema destra, Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, che invocano una guerra infinita, ma hanno anche infuriato migliaia di israeliani scesi in strada a Tel Aviv e in altre città per chiedere la chiusura dell’accordo che riporterebbe a casa gli ostaggi. Da parte sua, un portavoce di Hamas, Taher Nunu, ha dichiarato alla Reuters: ‘Qualsiasi accordo dovrà includere la fine completa e permanente dell’aggressione israeliana; il ritiro totale dell’occupazione dalla Striscia di Gaza; il ritorno degli sfollati alle loro case; e un vero e proprio scambio di prigionieri, oltre alla ricostruzione e alla fine del blocco israeliano di Gaza’.
Le vittime del conflitto e il ruolo dei media
Sullo sfondo, ci sono le vittime palestinesi di Gaza, uccise dall’offensiva israeliana iniziata dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Secondo gli ultimi dati del ministero della sanità palestinese, sono 34.654 le persone uccise. Tra di esse, oltre 100 giornalisti e operatori dell’informazione. Israele nega di prendere di mira i reporter, ma spesso li descrive come collusi con Hamas e altre ‘organizzazioni terroristiche’. È il caso di Hamza Dahdouh, 27 anni, figlio del noto giornalista Wael Dahdouh di Al Jazeera, e dell’operatore di droni Mustafa Thuraya, 30 anni, uccisi a gennaio da un drone militare israeliano assieme al loro autista.
Secondo Israele, Thuraya apparteneva ad Hamas e Dahdouh al Jihad islamico, e stavano monitorando i movimenti delle truppe israeliane. Tuttavia, il Washington Post ha pubblicato immagini girate da Thuraya che contraddicono la versione israeliana: nel filmato non appare nessun soldato, aereo o altro equipaggiamento militare israeliano. Questo solleva interrogativi sul motivo per cui i giornalisti sono stati presi di mira. Dahdouh, inoltre, aveva ottenuto il permesso di uscire da Gaza, un raro privilegio che difficilmente sarebbe stato concesso a un militante di Hamas o del Jihad.