La Pasqua clandestina dei cattolici: la repressione religiosa nelle terre occupate
La Pasqua di quest’anno rappresenta un momento di grande difficoltà per i cattolici ucraini delle regioni occupate dalla Russia. Le liturgie sono consentite solo nelle chiese legate alla Chiesa ortodossa russa, l’unica ammessa dal Cremlino. Le altre parrocchie sono state chiuse e svuotate, come racconta don Oleksandr Bogomaz, uno degli ultimi sacerdoti cattolici espulsi dai territori occupati. “La canonica in cui vivevo è stata requisita dai soldati russi. La chiesa protestante, invece, è stata trasformata in caserma di polizia e ospita anche una sezione dei servizi segreti russi”, spiega il sacerdote greco-cattolico.
La paura di bombardamenti mirati
sulle chiese ha portato il governo ucraino a sconsigliare la partecipazione ai riti religiosi, spingendo i fedeli a seguire le celebrazioni online. Questa è la terza Pasqua di guerra per l’Ucraina, segnata dal timore e dalla repressione. “Neppure ai tempi dell’Unione Sovietica la repressione era così asfissiante”, aggiunge don Oleksandr, che oggi guiderà la celebrazione online per la sua comunità a Melitopol.
La situazione dei prigionieri religiosi e l’appello per la loro liberazione
Sono 1.100 i residenti dell’oblast di Zaporizhzhia rapiti o arrestati illegalmente dalle autorità d’occupazione, denuncia Kiev. La Chiesa greco-cattolica ucraina attende da un anno e mezzo notizie di due suoi religiosi, padre Bohdan Geleta e padre Ivan Levitskyi, catturati nella città occupata di Berdyansk nell’autunno 2022. “Attualmente siamo a conoscenza di dieci sacerdoti di varie Chiese che sono prigionieri in Russia. Ma possibile che il mondo non riesca a far sì che possano cantare ‘Cristo è risorto’ nelle loro chiese?”, si chiede l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk.
La strategia di colonizzazione russa nelle regioni occupate
La Pasqua anticipa il Giorno della vittoria, la più sentita festa russa che si celebra il 9 maggio e che ricorda la fine della seconda guerra mondiale. Una ricorrenza che il Cremlino ha obbligato a esportare anche nelle regioni occupate dell’Ucraina. La bandiera rossa con la falce e il martello sventola già sulla scuola numero 23 di Melitopol, dove le insegnanti mostrano i disegni degli alunni da consegnare ai militari di Putin.
L’esproprio delle case degli ucraini fuggiti
La russificazione si traduce anche negli espropri delle case delle famiglie ucraine fuggite dall’inferno russo. “Le autorità si stanno appropriando delle abitazioni dei rifugiati ma anche di chi non vuole avere documenti russi”, fa sapere Violeta, abitante di Melitopol. Nei condomini vengono lasciati avvisi di visite porta a porta da parte delle commissioni comunali. Se nessuno è presente, la casa viene nazionalizzata.
Venticinque condomini sono stati appena requisiti fra Melitopol e Berdyansk. Nelle regioni occupate si tocca con mano la commistione fra “trono” e “altare” che a Mosca è stata sancita dalla benedizione della “guerra santa” da parte del patriarca Kirill. Come ha sperimentato il parroco amico di padre Oleksandr, a cui era stato dato un ultimatum dai soldati: o passi al patriarcato di Mosca o te ne vai. “Lui non ha rinnegato l’appartenenza alla Chiesa greco-cattolica. Ed è stato mandato al confino”.
Alla vigilia della Pasqua, la Chiesa ortodossa russa ha lanciato la “missione di fraternità” nelle terre sottratte all’Ucraina: gruppi di volontari da arruolare per essere spediti a “ricostruire le case dei più fragili colpiti dalle azioni militari: anziani, persone sole, disabili”. Più che un ponte solidale, un puntello alla strategia di Putin.