Giustizia, la volta buona della riforma? Carriere e CSM, il governo apre al confronto con le toghe
A Bettino Craxi piaceva, eccome. I Radicali l’hanno sottoposta agli italiani con un referendum. Per Silvio Berlusconi era l’eredità che avrebbe voluto lasciare al Paese. E pure la Bicamerale di Massimo D’Alema l’aveva tra i suoi punti qualificanti. Quella della riforma della giustizia, e in particolare della separazione delle carriere dei pm, è una storia lunga più di trent’anni. Una strada lastricata dalle promesse dei governi che – dal riordino del processo penale in Italia del 1989 – si è interrotta ben prima di riuscire a dividere per sempre il magistrato che accusa da quello che giudica.
Una riforma complessa e ancora da scrivere
E lo farà – ma è ancora da scrivere – affiancando all’istituzione di due CSM quella di un’Alta Corte che, con membri sorteggiati, si occuperà di giudicare sia i magistrati giudicanti che requirenti. Non si esclude neppure che alla fine possa essere portata avanti anche una riflessione sull’esercizio dell’azione penale e della sua discrezionalità con l’obiettivo di riformare l’articolo 112 della Costituzione – in cui è prevista l’obbligatorietà – e attuare pienamente il sistema accusatorio.
Il confronto con i magistrati
Accanto ai più tradizionali strali («È la riforma di chi ha in antipatia un singolo pm»), venerdì il magistrato ha auspicato «un confronto con il ministro Nordio sulla riforma della giustizia, almeno prima che diventi legge, per un contributo tecnico. Scelga lui se prima o dopo il Cdm». Una piccola apertura che, sulla carta, sa di “volta buona” ma che nei fatti potrebbe preannunciare l’ennesimo scontro. Nel governo il dialogo è considerato benefico, a patto che non si trasformi nel tentativo di impallinare la riforma. Per questo, complice la momentanea assenza da Roma di Nordio per presiedere il G7 a Venezia, la strategia è quella di non correre troppo.
Le critiche e i dubbi
«L’annuncio del varo della riforma costituzionale della separazione delle carriere sarà, ad occhio e croce, il quindicesimo dall’inizio della legislatura» ha sottolineato. «Due sole domande. La prima: come mai non c’è ancora un testo scritto?» Seconda domanda: «si tratta di una riforma costituzionale», come il premierato, «quando pensate di farla? Prima, dopo, contemporaneamente?». Dubbi a cui si accoda una grossa fetta dell’opposizione “dialogante” con il governo sul punto.
Una lunga storia di tentativi falliti
Certo, ora sembra lontanissimo quel «resistere, resistere, resistere, come sulla linea del Piave» scandito nel 2022 all’apertura dell’anno giudiziario dal procuratore generale Francesco Saverio Borrelli, capo del pool di Mani Pulite. Ma il sospetto che anche questo tentativo possa finire immolato sull’altare dell’opportunità politica è legato alla storia stessa della riforma. Chissà se Berlusconi che nel 2000 boicottò il referendum dei Radicali (al grido «Resta a casa per mandarli a casa») abbia mai avuto modo di pentirsi di averlo fatto con l’obiettivo di realizzarla una volta al governo.
Un percorso accidentato
Tre anni più tardi è la volta del governo Prodi e del ministro Clemente Mastella che riesce però solo ad inserire un limite di non più di quattro passaggi in carriera (e solo dopo aver svolto le stesse funzioni per 5 anni). Poi ancora la raccolta firme finita nel vuoto dei radicali nel 2013, la proposta di un ddl costituzionale dell’Unione camere penali italiane paralizzatosi tra il 2017 e il 2020. Fino al referendum anti-porte girevoli del 2022 lanciato da Lega e Radicali finito seppellito sotto al mancato raggiungimento del quorum.