Giustizia, la volta buona della riforma?
La riforma della giustizia in Italia, e in particolare la separazione delle carriere dei pm, è una storia lunga più di trent’anni. Una strada lastricata dalle promesse dei governi che, dal riordino del processo penale in Italia del 1989, si è interrotta ben prima di riuscire a dividere per sempre il magistrato che accusa da quello che giudica.
Un lungo e affannoso viaggio intrapreso anche dal governo di Giorgia Meloni, che, forte di un accordo politico in maggioranza, di un ex giudice come Carlo Nordio a via XX Settembre e di una parte dell’opposizione più o meno sulla stessa linea d’onda (Azione e Iv), sembra considerare la riforma dell’ordinamento giudiziario realmente realizzabile.
Un nuovo tentativo di riforma
Tenendo fede al programma elettorale di Forza Italia e soprattutto all’ambizione azzurra di farne bandiera verso il voto europeo, entro maggio infatti giurano che il testo approderà in Consiglio dei ministri sotto forma di Ddl costituzionale. E lo farà affiancando all’istituzione di due Csm quella di un’Alta Corte che, con membri sorteggiati, si occuperà di giudicare sia i magistrati giudicanti che requirenti.
Non si esclude neppure che alla fine possa essere portata avanti anche una riflessione sull’esercizio dell’azione penale e della sua discrezionalità con l’obiettivo di riformare l’articolo 112 della Costituzione – in cui è prevista l’obbligatorietà – e attuare pienamente il sistema accusatorio.
Una sfida complessa
L’equilibrio è però difficile da centrare. Nordio resta alla ricerca della formula più adatta per provare ad aggirare le sabbie mobili in cui in passato si è trasformato il dibattito sulle porte girevoli tra giudici e pm. D’altro canto è stato proprio l’attuale guardasigilli, nel libro scritto con Giuliano Pisapia (‘In attesa di giustizia’) nel 2010, a dettare la necessità di «dialogare in punta di fioretto» piuttosto che «entrare con la clava nella cristalleria».
Un dialogo aperto
Nel governo il dialogo è considerato benefico, a patto che non si trasformi nel tentativo di impallinare la riforma. Per questo, complice la momentanea assenza da Roma di Nordio per presiedere il G7 a Venezia, la strategia è quella di non correre troppo. Anzi, si guarda con interesse alla prossima settimana: dal 10 al 12 maggio l’Associazione nazionale magistrati si riunirà in congresso, se gli attacchi arriveranno con forza sarà il segno che una collaborazione non è possibile.
Dubbi e incertezze
Dubbi a cui si accoda una grossa fetta dell’opposizione “dialogante” con il governo sul punto. «La riforma della giustizia non si farà mai con questo governo – ha tuonato il leader di Iv Matteo Renzi – Il ministro Nordio è una persona perbene ma dopo due anni continua a fare chiacchiericcio, non abbiamo visto niente».
Una storia di fallimenti
Certo, ora sembra lontanissimo quel «resistere, resistere, resistere, come sulla linea del Piave» scandito nel 2022 all’apertura dell’anno giudiziario dal procuratore generale Francesco Saverio Borrelli, capo del pool di Mani Pulite. Ma il sospetto che anche questo tentativo possa finire immolato sull’altare dell’opportunità politica è legato alla storia stessa della riforma.
Un passato di tentativi falliti
Tre anni più tardi è la volta del governo Prodi e del ministro Clemente Mastella, che riesce però solo ad inserire un limite di non più di quattro passaggi in carriera (e solo dopo aver svolto le stesse funzioni per 5 anni). Poi ancora la raccolta firme finita nel vuoto dei radicali nel 2013, la proposta di un ddl costituzionale dell’Unione camere penali italiane paralizzatosi tra il 2017 e il 2020. Fino al referendum anti-porte girevoli del 2022 lanciato da Lega e Radicali finito seppellito sotto al mancato raggiungimento del quorum.
Anche per questo però, oggi è presto. C’è un accordo, è vero, ma manca un testo capace di reggere quattro letture in Parlamento ed un eventuale referendum.