In un contesto europeo sempre più focalizzato sulla questione migratoria, l’Albania si appresta a diventare un punto nevralgico nella gestione dei flussi migratori diretti verso l’Italia. Un recente accordo tra i due Paesi prevede la realizzazione di un Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) nell’ex base militare situata tra i villaggi di Gjader e Kakariq, nel nord dell’Albania. Questo progetto, che mira a replicare il modello del Cpr di Ponte Galeria a Roma, solleva però non poche questioni sia logistiche che politiche.
Un sito storico per una nuova funzione
L’ex base militare, utilizzata fino al collasso del sistema dittatoriale albanese nei primi anni Novanta, è stata scelta per ospitare il nuovo centro. La sua posizione, alquanto isolata e distante dai centri abitati, sembra rispondere a una logica di “occhio non vede, cuore non duole”, secondo quanto riportato da fonti giornalistiche. Nonostante l’annuncio ufficiale parli di un’apertura imminente, prevista per il 20 maggio, sembra che i lavori siano ancora in una fase iniziale, con un rinvio probabile a novembre.
Dubbi e ritardi
Le testimonianze raccolte sul posto e le immagini aeree mostrano che i progressi verso la realizzazione del centro sono meno avanzati di quanto previsto. Un giornalista di Tirana, che ha preferito mantenere l’anonimato, ha evidenziato come le informazioni sul progetto siano frammentarie e spesso contraddittorie, specie per quanto riguarda la capacità del centro, i diritti dei migranti ospitati e il finanziamento del progetto. Se da un lato l’Italia avrebbe parlato di una capienza di 3.000 posti, le informazioni disponibili suggeriscono numeri molto inferiori, con una struttura che potrebbe ospitare al massimo 1.030 persone.
Questioni tecniche e finanziarie
La realizzazione del Cpr di Gjader solleva non solo questioni tecniche, come la trasformazione delle strutture militari esistenti e la costruzione di nuovi moduli abitativi, ma anche finanziarie. È emerso che il costo per la sicurezza del centro, affidata a personale specializzato italiano, potrebbe ammontare a circa 2,5 milioni di euro annui, una cifra rilevante che l’Italia si è impegnata a coprire. Inoltre, è prevista la costruzione di un muro di cinta alto sette metri che circonderà l’intera area, con l’obiettivo di rendere il sito inaccessibile e isolato.
Un collegamento strategico
Oltre al Cpr di Gjader, è in fase di allestimento un hotspot nel porto di Shengjin, dove le motovedette italiane potranno attraccare per trasferire i migranti direttamente al centro di Gjader. Questa operazione richiederà un’efficiente rete di trasporto, vista la distanza e la difficile orografia del territorio. Le autorità albanesi si stanno dunque impegnando nella realizzazione di una superstrada che garantirà un collegamento veloce e sicuro tra il porto e il Cpr, un progetto ambizioso che mira a facilitare la gestione dei flussi migratori in accordo con le aspettative italiane.
Verso un futuro incerto
Il progetto del Cpr di Gjader tra Italia e Albania rappresenta un passo significativo nella cooperazione internazionale per la gestione dei flussi migratori. Tuttavia, le incertezze e i ritardi accumulati sollevano interrogativi sull’efficacia e sulla sostenibilità di questa iniziativa. Le questioni aperte riguardano non solo gli aspetti logistici e finanziari ma anche le implicazioni per i diritti dei migranti e le relazioni bilaterali tra i due Paesi coinvolti. In attesa dei prossimi sviluppi, il dibattito continua, tra speranze di una gestione umana e efficiente dei migranti e le sfide poste da un progetto tanto ambizioso quanto controverso.