La guerra a Gaza e la resilienza di Hamas secondo l’intelligence USA
Le recenti valutazioni dell’intelligence statunitense gettano una luce pessimistica sulla situazione bellica nella Striscia di Gaza. A distanza di oltre tre mesi dall’inizio delle ostilità, emerge un quadro incerto sulle reali capacità operative dell’esercito israeliano di portare a compimento la sua missione: la distruttura di Hamas. Le informazioni fornite anonimamente da fonti americane indicano una realtà complessa, nella quale il gruppo militante sembra essere ben lungi dall’essere annientato.
Nonostante l’insistenza israeliana sulle proprie stime, di natura ufficiosa e leggermente più ottimistiche, ammette pubblicamente di essere ancora distante dal raggiungere i propri obiettivi strategici. Con la guerra che si prospetta continuare per “molti mesi”, secondo alcuni rappresentanti governativi e militari, l’attenzione si sposta anche sui negoziati in corso, volti a un possibile cessate il fuoco temporaneo.
La tattica di Hamas e la risposta israeliana
La strategia di Hamas basata sull’uso di intricati tunnel sotterranei, utilizzati per spostamenti e attacchi improvvisi, sembra essere ancora efficace. Se le stime americane sono accurate, il 60-80% di questa rete sarebbe ancora operativa nonostante l’offensiva israeliana. D’altra parte, Israele ha iniziato le sue operazioni militari con intensi bombardamenti il giorno successivo agli attacchi dei miliziani in territorio israeliano il 7 ottobre, seguiti poi da un’invasione via terra.
Israele ha giustificato i suoi interventi più severi – compresi quelli che hanno colpito le aree degli ospedali rimasti attivi – come necessari per colpire basi e ingressi dei tunnel di Hamas. Tuttavia, le operazioni di terra hanno evidenziato i limiti nell’affrontare questi passaggi sotterranei, considerato troppo rischioso per le forze armate penetrare e distruggerli dall’interno. Inoltre, l’operazione denominata “Sea of Atlantis”, che prevedeva l’inondazione dei tunnel con acqua marina, ha dato risultati inferiori alle aspettative.
Le conseguenze civili e umanitarie
La crisi umanitaria che affligge la Striscia di Gaza è stata fortemente aggravata dal conflitto. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, il numero di palestinesi deceduti supera i 26mila, con una tragica prevalenza di donne e bambini. Oltre 1,9 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case, spesso senza accesso a servizi essenziali quali cibo e acqua potabile.
La persistenza di Hamas, nonostante gli ingenti danni subiti, è testimoniata dalla capacità dell’organizzazione di mantenere attive le proprie forze. Si stima che possa ancora contare su un numero significativo di combattenti e munizioni per portare avanti attacchi per mesi. La recente pioggia di razzi lanciata da Khan Yunis verso Tel Aviv evidenzia che la minaccia di Hamas è ancora concreta.
La pressione internazionale e le richieste di cessate il fuoco
Le pressioni internazionali per un cessate il fuoco sono in aumento, con gli Stati Uniti, principale alleato di Israele, che hanno sollecitato il governo di Benjamin Netanyahu a privilegiare operazioni mirate, per limitare le vittime civili e consentire la distribuzione di aiuti. La situazione rimane fluida e la comunità internazionale segue con apprensione lo sviluppo degli eventi, auspicando una soluzione che ponga fine alle ostilità e alle sofferenze dei civili.
L’incertezza domina il panorama attuale nella Striscia di Gaza, con il destino di oltre 100 ostaggi nelle mani di Hamas che aggiunge un ulteriore livello di complessità alle operazioni militari. La distruzione dei tunnel rischia di compromettere anche la vita di questi prigionieri, rendendo ogni decisione tattica un dilemma tra la necessità militare e la salvaguardia delle vite umane.
La resilienza di Hamas e la complessità dei tunnel hanno creato un’impasse per le forze israeliane, mettendo in luce le sfide di un’operazione militare che, pur essendo la più lunga dei tempi recenti, non ha ancora raggiunto i suoi obiettivi dichiarati. La comunità internazionale osserva con preoccupazione queste dinamiche, sperando che i negoziati possano portare a una riduzione delle ostilità.