La scomparsa di Binjamin Achimair, un ragazzo di 14 anni, dalla colonia di Malachei Shalom in Cisgiordania ha scatenato una serie di eventi violenti che riportano alla memoria episodi dolorosi del passato. La notizia ha fatto immediatamente riemergere il ricordo del rapimento e dell’uccisione di tre giovani coloni israeliani nel 2014, evento che aveva portato a un’intensa operazione militare israeliana denominata ‘Brother’s Keeper’. In quel frangente, la reazione di Israele fu massiccia: sette palestinesi persero la vita, oltre 550 furono arrestati e si verificarono numerose perquisizioni e raid nei villaggi.
Il contesto della scomparsa
La scomparsa del giovane Achimair ha immediatamente sollevato timori di un possibile rapimento. La polizia israeliana ha riferito che il ragazzo aveva lasciato la fattoria con le greggi, che sono poi ritornate senza di lui. Sebbene non ci siano ancora conferme ufficiali riguardo la natura dell’accaduto o l’eventuale coinvolgimento di palestinesi, l’esercito israeliano ha avviato operazioni di ricerca che hanno coinvolto diverse comunità palestinesi, riaccendendo la tensione in una regione già fortemente provata da mesi di violenze.
Una spirale di violenza
La situazione ha raggiunto livelli di drammaticità nel villaggio di al-Mughayyir, vicino a Ramallah, dove i raid dell’esercito israeliano hanno portato a scontri diretti con la popolazione locale. Un palestinese, Jihad Afif, è stato ucciso e altri dieci sono rimasti feriti durante gli scontri. Questi eventi si inseriscono in un contesto già estremamente teso, con centinaia di palestinesi uccisi e migliaia arrestati negli ultimi mesi.
Le ripercussioni delle azioni dei coloni
La violenza dei coloni non si è fermata agli assalti nei villaggi. A Tubas, nel nord della Cisgiordania, due palestinesi sono stati uccisi e altri due feriti in un’incursione durante la quale i militari israeliani hanno aperto il fuoco. Tra le vittime vi è Muhammad Rasoul, importante figura locale, la cui morte ha suscitato ulteriore indignazione.
Questi eventi hanno messo in luce la crescente militarizzazione di alcune zone della Cisgiordania, dove giovani palestinesi scelgono di unirsi a gruppi armati come risposta alle incursioni e alle violenze. La situazione descritta dalla corrispondente di Al Jazeera, Nida Ibrahim, evidenzia un cambiamento nel tessuto sociale e politico della regione, con sempre più persone che vedono nella resistenza armata l’unico modo per far fronte all’oppressione.
Confische di terre e scomparse di comunità
Parallelamente alla violenza fisica, si assiste a un’intensificazione delle confische di terra da parte di Israele. La ong israeliana Kerem Navot ha rivelato che il 2024 è già un anno record per quanto riguarda le confische di terre palestinesi in Cisgiordania, con oltre 1.110 ettari dichiarati proprietà dello stato. Questa pratica, che prelude spesso alla costruzione o all’ampliamento di colonie, ha portato alla scomparsa forzata di almeno 21 comunità palestinesi negli ultimi sei mesi, cancellate dalla mappa a causa della violenza dei coloni.
La situazione in Cisgiordania è quindi segnata da una crescente spirale di violenza, dove la scomparsa di un adolescente israeliano ha riacceso le tensioni in una regione già gravemente provata. La risposta militare e la violenza dei coloni, insieme alle confische di terra, delineano un quadro di costante oppressione che alimenta il ciclo di violenza e resistenza. La comunità internazionale osserva con preoccupazione, sperando in una soluzione che possa portare alla fine degli scontri e alla stabilizzazione della regione.