Netanyahu e il futuro politico di Israele: tra pressioni internazionali e sfide interne
La situazione politica e militare in Israele vive un momento di svolta cruciale. Sei mesi dopo l’offensiva militare lanciata il 7 ottobre contro Hamas, le vicende recenti sembrano suggerire un possibile cambio di scenario. Nimrod Goren, fondatore e presidente del think-tank Mitvim e Senior Fellow for Israeli Affairs al Middle East Institute, in una recente intervista ha delineato un quadro complesso, in cui convergono le pressioni internazionali, la gestione del dopo guerra e le dinamiche politiche interne, in particolare riguardo al futuro del primo ministro Benjamin Netanyahu.
Nonostante l’obiettivo dichiarato di ‘sradicare’ Hamas non sia stato pienamente raggiunto, le operazioni militari hanno indubbiamente inciso sulle capacità dell’organizzazione. Tuttavia, la questione degli ostaggi rimane irrisolta, marcando un punto dolente per la leadership israeliana. Goren evidenzia che, nonostante i danni inflitti a Hamas, la questione fondamentale resta la mancanza di una chiara strategia su chi o cosa dovrebbe succedere al governo dell’organizzazione nella Striscia di Gaza.
La questione del ‘day after’ e le pressioni internazionali
La visione di Netanyahu sul futuro della Striscia di Gaza, incentrata sul mantenimento del controllo militare israeliano e sulla gestione civile affidata a clan locali non affiliati a Hamas, si scontra con le aspettative della comunità internazionale e dell’opinione pubblica israeliana. Quest’ultima, come sottolinea Goren, non desidera che l’esercito rimanga impegnato a Gaza a lungo termine, data la pesantezza dei sacrifici richiesti.
La gestione della crisi da parte di Netanyahu ha alimentato un crescente malcontento tra gli israeliani, molti dei quali chiedono nuove elezioni e un cambio alla guida del paese. Il sentimento di insicurezza e la sfiducia verso i partner palestinesi contribuiscono a una situazione di stallo politico, con una popolazione sempre meno incline a sostenere la soluzione dei due Stati.
Movimenti interni e prospettive future
Negli ultimi mesi, le richieste di cambiamento si sono fatte sempre più pressanti, con proteste di massa e segnali di mobilitazione politica che suggeriscono un orizzonte di elezioni anticipate. La situazione interna è dinamica, con figure come Gideon Sa’ar e Benny Gantz che si muovono sullo scenario politico, cercando di posizionarsi come alternative a Netanyahu.
Il sostegno degli Stati Uniti, fondamentale per Israele, è apparso incrinarsi di fronte al rifiuto di Netanyahu di allinearsi alle richieste americane, specie in tema di questioni umanitarie. Joe Biden, con un messaggio chiaro e diretto, ha manifestato la sua insoddisfazione verso la gestione israeliana del dopo 7 ottobre, sollecitando indirettamente un rinnovamento politico.
La scommessa su Trump e l’incognita iraniana
Le recenti dichiarazioni di Donald Trump, che invita Israele a ‘finire il lavoro’ a Gaza, segnalano una possibile dissonanza con l’atteggiamento internazionale e mettono in luce le difficoltà di Netanyahu nel navigare le acque complesse della politica estera. L’incertezza riguardo all’atteggiamento dell’Iran, in attesa degli esiti dei negoziati al Cairo, aggiunge un ulteriore livello di complessità alla già intricata situazione israeliana.
La risposta dell’Iran, la gestione delle tensioni con Hezbollah e l’attesa per una possibile tregua a Gaza sono tutti elementi che influenzeranno il futuro immediato di Israele, sia sul piano militare che politico. Nel frattempo, l’opinione pubblica e i partner internazionali osservano con attenzione le mosse di Netanyahu e del suo governo, in un contesto di crescente richiesta di cambiamento e rinnovamento politico.