Iran e l’armamento dei palestinesi: una strategia di tensione
Una recente inchiesta giornalistica ha messo in luce come l’Iran stia orchestrando un complesso sistema di fornitura di armamenti ai palestinesi della Cisgiordania, servendosi di una rete di intermediari che include gruppi criminali e tribù nomadi. Il regime di Teheran, non nuovo a tattiche di destabilizzazione regionale, sembra non risparmiare risorse per intensificare il conflitto israelo-palestinese, sfruttando corridoi illegali che attraversano Iraq, Siria, Libano e Giordania. Questa mossa risponde alla volontà di vendicarsi per l’uccisione di alcuni suoi leader in un attacco israeliano in Siria, puntando a un’escalation che complicherebbe ulteriormente il panorama diplomatico mediorientale.
La situazione in Medio Oriente, già tesa, si trova ora di fronte a un’ulteriore minaccia: un possibile sollevamento armato in Cisgiordania. La polarizzazione tra i popoli, esacerbata dagli ultimi eventi bellici, rende sempre più lontana la prospettiva di una soluzione pacifica basata sui ‘due Stati’. L’influenza di Hamas, ostile all’esistenza stessa di Israele, sembra crescere, mentre dall’altra parte, anche tra gli israeliani che disapprovano la leadership di Netanyahu, prevale la convinzione della necessità di annientare Hamas. In questo scenario, l’Iran emerge come un attore chiave, capace di spostare gli equilibri verso un’espansione del conflitto.
La diplomazia dell’affarismo: Kushner e i legami con il Golfo
Il ruolo di Jared Kushner, genero di Donald Trump, emerge in un contesto completamente diverso. Durante la presidenza Trump, Kushner si è distinto per il suo impegno in Medio Oriente, culminato negli Accordi di Abramo, che hanno segnato un avvicinamento diplomatico senza precedenti tra Israele e quattro nazioni islamiche. Questi successi non hanno tuttavia esaurito l’attivismo di Kushner, che attraverso il suo fondo d’investimento, ha stretto importanti legami finanziari con potenze del Golfo come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar, oltre a investimenti significativi in Israele.
Nonostante le critiche, l’operato di Kushner in questa regione può essere visto sotto una luce diversa. L’impegno nei confronti di una diplomazia economica potrebbe rappresentare una valida alternativa alle tensioni e ai conflitti armati che da troppo tempo insanguinano il Medio Oriente. L’esempio dell’Arabia Saudita, sotto la guida di Mohammed bin Salman (MbS), dimostra come un approccio meno ideologico e più incentrato sullo sviluppo economico possa offrire nuove strade per il futuro della regione.
Un nuovo modello per il Medio Oriente?
La visione promossa da MbS e implicitamente sostenuta dalle azioni di Kushner si distacca radicalmente dalle dinamiche di vittimismo e rancore che hanno alimentato decenni di conflitti e terrorismo. La rinuncia a una narrazione basata sull’odio e sulla rivendicazione può aprire a un Medio Oriente più stabile e prospero, dove la cooperazione economica e tecnologica sostituisce il linguaggio delle armi. Questo cambio di paradigma, tuttavia, richiede un riconoscimento del successo israeliano non come frutto di una prevaricazione, ma come esempio di ciò che è possibile ottenere attraverso l’innovazione e l’imprenditorialità.
L’approccio di Kushner, benché controverso, potrebbe quindi rappresentare un elemento di novità nel panorama mediorientale, offrendo una prospettiva alternativa alle logiche di confronto armato. L’impegno per un’integrazione economica regionale e la ricerca di legami commerciali e finanziari transnazionali potrebbero infatti preparare il terreno per un Medio Oriente rinnovato, dove la pace e lo sviluppo condiviso prendono il posto delle ostilità perpetue. In questo contesto, l’affarismo non è necessariamente un termine dispregiativo, ma può diventare sinonimo di una pragmatismo costruttivo, capace di trasformare antiche inimicizie in opportunità di crescita comune.
Sebbene le sfide rimangano ingenti, e la strada verso una pace duratura sia ancora lunga e tortuosa, il contributo di figure come Kushner dimostra come il dialogo tra mondi apparentemente inconciliabili possa generare dinamiche positive, aprendo nuovi orizzonti per il Medio Oriente e, potenzialmente, per l’intera comunità internazionale.