Il controverso pagamento degli espropri per il Ponte sullo Stretto a condannati e parenti di ‘ndrangheta
La costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina ha sollevato una questione controversa legata agli espropri delle aree necessarie per l’opera, che coinvolge direttamente membri e parenti di note famiglie mafiose nella provincia di Vibo Valentia. Tra questi, spiccano i nomi dei rappresentanti della cosca Mancuso, nonché di persone condannate per associazione mafiosa, che riceveranno compensi dallo Stato per le terre espropriate. Un dettaglio non trascurabile è che parte del terreno interessato dall’esproprio, circa 70 mila metri quadrati, è attualmente di proprietà del clan Mancuso, una superficie che si inserisce in un contesto più ampio di quasi 3,7 milioni di metri quadrati destinati all’espropriazione.
Il progetto, come spiegato dal quotidiano Il Fatto Quotidiano, prevede la realizzazione di un deposito per materiale inerte, identificato come Cra3, in una zona rurale denominata Petto. Quest’area, un tempo cava di inerti, versa oggi in uno stato di degrado a causa dell’abbandono e delle intensificate attività estrattive che ne hanno alterato l’aspetto originario. Di fronte a questo scenario, lo Stato si è impegnato a restituire al paesaggio il suo aspetto naturale, ma ciò comporta anche il pagamento di indennizzi ai privati coinvolti.
Un esproprio che alimenta polemiche
Nel dettaglio, tra i beneficiari degli espropri si annoverano individui strettamente legati al mondo della criminalità organizzata. Uno degli esempi più emblematici è Carmina Antonia Mancuso, figlia di Francesco Mancuso, ex sindaco di Limbadi e noto esponente della ‘ndrangheta, e Francesco Naso, condannato per associazione mafiosa, il quale forniva materiali edili al clan Mancuso. Anche la figlia di Don Ciccio, Carmela, è proprietaria di terreni che verranno espropriati, per i quali riceverà un’indennità di occupazione temporanea, come previsto dalla normativa sugli espropri.
La Società Stretto di Messina spa, guidata da Pietro Ciucci, ha stilato un elenco che include i nomi di coloro che saranno indennizzati, rivelando come il progetto del Ponte sullo Stretto finisca per coinvolgere anche individui legati alla criminalità organizzata. Questa circostanza ha sollevato non poche perplessità, considerando che il pagamento degli espropri a favore di condannati o parenti di membri della ‘ndrangheta potrebbe essere visto come un’involontaria forma di legittimazione dello Stato verso soggetti coinvolti in attività illecite.
La risposta dello Stato e le implicazioni future
Di fronte alle polemiche suscitate da questa situazione, emerge la complessità del processo di espropriazione in contesti in cui la proprietà terriera è intrinsecamente legata a famiglie coinvolte nella criminalità organizzata. La necessità di procedere con l’esproprio per realizzare opere di pubblica utilità si scontra con la difficoltà di disentanglare la rete di proprietà e interessi che lega questi terreni a figure di spicco del mondo mafioso.
La questione solleva interrogativi profondi sulla capacità dello Stato di gestire situazioni in cui le necessità di sviluppo infrastrutturale si intrecciano con la lotta alla criminalità organizzata, in un delicato equilibrio tra esigenze pubbliche e la necessità di non alimentare indirettamente le casse delle organizzazioni criminali. Mentre il dibattito pubblico cerca una via d’uscita da questa impasse, la società civile e le istituzioni sono chiamate a riflettere sull’efficacia delle strategie attualmente adottate nella gestione dei beni confiscati alla mafia, e sulla ricerca di soluzioni che non compromettano l’integrità e i principi dello Stato di diritto.
La costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, dunque, oltre a rappresentare una sfida ingegneristica e logistica, si configura anche come un caso di studio sulla complessità delle interazioni tra lo Stato e il tessuto sociale e economico in aree fortemente influenzate dalla presenza della criminalità organizzata. La risoluzione di questa intricata vicenda sarà determinante non solo per il successo dell’opera infrastrutturale in sé ma anche per il messaggio che lo Stato intende inviare in termini di legalità e lotta alla mafia.