Il dibattito sul Sismabonus e le sue implicazioni fiscali sta accendendo nuove discussioni tra proprietari di immobili, legali ed esperti del settore. Al centro della questione vi è la plusvalenza sulla rivendita degli immobili ristrutturati grazie a incentivi statali, un tema sollevato dall’avvocato Giulio Marini, che mette in luce le insidie celate dietro a una misura apparentemente vantaggiosa.
Il Risvolto della Plusvalenza
Il Sismabonus, prorogato nell’ultima legge di bilancio, è indubbiamente uno strumento apprezzato per la riqualificazione degli edifici e la messa in sicurezza sismica. Tuttavia, Marini evidenzia un aspetto poco discusso ma di fondamentale importanza: la tassazione della plusvalenza sulla vendita di immobili entro dieci anni dalla loro ristrutturazione. Tale tassazione, calcolata al 26% sulla differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto pre-ristrutturazione, rischia di diventare un onere significativo per chi decide di vendere.
“Ciò che i critici del bonus non hanno evidenziato è il rischio che gli immobili per i quali si sia usufruito del superbonus in aggiunta al contributo per la ricostruzione, vengano assoggettati a plusvalenza,” sottolinea Marini. Esclusi gli immobili pervenuti in successione e quelli adibiti ad abitazione principale, la normativa attuale potrebbe penalizzare coloro che, per diverse ragioni, necessitano di vendere l’immobile ricostruito.
La Complessità del Calcolo Plusvalenza
Determinare il prezzo di acquisto per il calcolo della plusvalenza si rivela un’operazione complessa, soprattutto per acquisti risalenti a decenni fa. La difficoltà di reperire fatture antiche e l’adeguatezza del coefficiente di rivalutazione Istat sono solo alcune delle problematiche evidenziate. “Immaginate un immobile acquistato verso la fine degli anni ’80, sul quale sono stati realizzati successivi interventi edilizi negli anni ’90,” esemplifica Marini, sottolineando l’inadeguatezza di un sistema che non considera l’elevata inflazione di certi periodi.
La situazione attuale genera disparità tra proprietari di immobili, penalizzando in particolare coloro che hanno effettuato l’acquisto in anni remoti. L’avvocato propone quindi un approccio più equo, basato sul valore medio degli immobili rilevato dall’Agenzia delle Entrate, per evitare penalizzazioni ingiuste.
Un Appello per la Revisione Normativa
L’avvocato Marini auspica una revisione normativa che possa correggere questa situazione, suggerendo un aumento del costo parametrico come soluzione preferibile. Tale modifica legislativa eviterebbe di imporre un’onere fiscale pensato per scoraggiare operazioni speculative, ma che in realtà rischia di colpire chi, colpito da una calamità, ha deciso di ricostruire e poi vendere senza alcuna intenzione speculativa.
“È anche legittimo che dopo anni lontani dalle terre d’origine le persone possano aver ricostruito la propria esistenza altrove, e non avere più sostanziale interesse a mantenere un immobile dove ormai non hanno più rapporti,” afferma Marini. La sua critica si estende alla restrizione che impedisce la vendita per ulteriori 10 anni dalla fine dei lavori, una norma che, a suo avviso, comprime eccessivamente il diritto di proprietà senza giustificazioni valide in un sistema democratico.
La questione sollevata dall’avvocato Marini mette in evidenza la necessità di un dibattito approfondito e di eventuali correzioni normative riguardo al Sismabonus e alle sue implicazioni fiscali. Mentre gli incentivi statali per la ristrutturazione e la sicurezza sismica degli immobili rappresentano un passo importante verso la prevenzione e l’adeguamento, è fondamentale assicurare che le politiche attuate non si traducano in oneri ingiusti per i cittadini colpiti da calamità, né limitino indebitamente i loro diritti.