La casa di moda Armani sotto amministrazione giudiziaria: il caso di sfruttamento lavorativo
Un’indagine condotta dai pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone, insieme ai carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro (Nil), ha portato alla luce una realtà sconcertante nel cuore dell’industria della moda italiana, precisamente all’interno della Giorgio Armani Operations spa. Quest’ultima, parte integrante dell’impero Armani, è stata posta sotto amministrazione giudiziaria dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano a seguito di gravi accuse di sfruttamento lavorativo e caporalato.
Le indagini, avviate a dicembre 2023, hanno rivelato come l’azienda non abbia adottato le misure necessarie per prevenire e contrastare l’uso di manodopera cinese in nero e clandestina nelle fasi di progettazione e produzione di abbigliamento e accessori di lusso. La situazione emersa è grave: lavoratori sottoposti a condizioni di sfruttamento, impiegati in piccole fabbriche dormitorio gestite da cittadini cinesi nelle province di Milano e Bergamo, dove si realizzavano parti della collezione 2024 di borse e accessori.
Le condizioni degli opifici e le sanzioni
Le verifiche condotte hanno messo in luce un sistema di produzione che si affida a subappaltatori non autorizzati, i quali a loro volta ricorrono a manodopera irregolare e clandestina per ridurre i costi. Queste piccole fabbriche, oltre a non rispettare le normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ospitavano i lavoratori in condizioni igienico sanitarie precarie, in dormitori realizzati abusivamente all’interno degli stessi opifici.
Il commissariamento di Giorgio Armani Operations spa è stata la risposta giudiziaria a tale sistema di sfruttamento. Inoltre, quattro imprenditori cinesi, titolari delle aziende coinvolte, sono stati deferiti in stato di libertà per caporalato, con ammende che superano gli 80mila euro e sanzioni amministrative per 65mila euro. Anche nove lavoratori sono stati denunciati per non essere in regola con i documenti di soggiorno.
Le reazioni e le misure future
La vicenda ha sollevato un vespaio di polemiche sulle condizioni di lavoro all’interno della filiera produttiva del lusso italiano, mettendo in dubbio l’etica di business di uno dei marchi più rappresentativi a livello globale. La Giorgio Armani Operations spa, attraverso l’assegnazione di contratti di fornitura a società terze, si è ritrovata al centro di un sistema che, per abbattere i costi, ha finito per violare i diritti più basilari dei lavoratori.
Questo caso apre nuovamente il dibattito sulla necessità di implementare controlli più stringenti e trasparenti lungo tutta la catena di fornitura nel settore della moda, soprattutto quando si tratta di marchi che rappresentano l’eccellenza del Made in Italy nel mondo. La speranza è che l’intervento della giustizia possa non solo sanzionare i comportamenti illeciti ma anche spingere l’intero settore verso una maggiore responsabilità sociale e un impegno concreto nel prevenire situazioni simili in futuro.
Il settore della moda, con la sua capacità di influenzare e dettare tendenze, ha ora l’opportunità di dimostrare che il vero lusso non risiede solo nella qualità e nell’esclusività dei prodotti, ma anche nel rispetto dei diritti umani e nel garantire condizioni di lavoro dignitose per tutti coloro che contribuiscono alla realizzazione di queste creazioni. La vicenda Armani, con le sue complesse sfaccettature, diventa così un monito per l’intera industria, richiamando tutti gli attori coinvolti a una riflessione profonda e a un impegno rinnovato verso pratiche più etiche e sostenibili.