Le controverse dichiarazioni sui chip cerebrali e le indagini sulla ‘Sindrome dell’Avana’
In un recente dibattito televisivo che ha suscitato non poco clamore, Vladimir Ovchinsky, ex capo dell’ufficio russo dell’Interpol, ha espresso una teoria controversa riguardante l’attacco terroristico al Crocus City Hall di Mosca. Secondo Ovchinsky, gli autori dell’attentato potrebbero essere stati manipolati attraverso l’uso di chip impiantati nel cervello, una tecnologia che, a suo dire, sarebbe stata fornita dai servizi occidentali. Le sue affermazioni, basate sul presupposto che la neurobiologia consenta ormai un controllo diretto sull’individuo, evocano scenari da fantascienza, con riferimenti al progetto Neurolink di Elon Musk, noto per l’impianto di chip nel cervello dei maiali.
Queste dichiarazioni sono state rilanciate dal Primo Canale, una delle principali reti televisive russe, dove Ovchinsky ha ipotizzato l’utilizzo combinato di sostanze psicotrope e di programmazione neuropsicologica. ‘Forse un esame lo dimostrerà: sono stati inseriti loro dei chip nel cervello,’ ha affermato, sollevando dubbi e interrogativi sulla veridicità e sulle possibili implicazioni etiche e politiche di tali pratiche.
La misteriosa ‘Sindrome dell’Avana’ e il sospetto russo
Parallelamente, una vicenda altrettanto inquietante ha riacceso l’attenzione dei media internazionali. Si tratta della cosiddetta ‘Sindrome dell’Avana’, un disturbo misterioso che ha colpito diplomatici e funzionari statunitensi e canadesi in diverse parti del mondo, causando danni cerebrali e lesioni permanenti. Una recente inchiesta condotta dal gruppo investigativo russo Insider e da Der Spiegel, e presentata nel programma ’60 minutes’ di CBS, ha riportato nuovi elementi che collegano questo fenomeno a una unità d’intelligence russa, la 29155.
Contrariamente alle conclusioni di una precedente indagine del Pentagono, che reputava ‘molto improbabile’ il coinvolgimento di una potenza straniera, quest’ultima inchiesta suggerisce un diretto legame con Mosca. Greg Edgreen, ex ufficiale USA e uno degli investigatori coinvolti nell’indagine originale, ha ammesso di aver sempre sospettato un ruolo russo in questi attacchi, sebbene abbia dovuto affrontare notevoli ostacoli a causa della classificazione delle informazioni.
Connessioni e negazioni
Il filo conduttore di queste nuove accuse è Vitaly Kovalev, uno chef russo arrestato in Florida nel 2020 per guida pericolosa, che sarebbe stato identificato come agente russo da un’agente dell’FBI soprannominata Carrie, anch’essa vittima della sindrome. Kovalev, tornato in Russia dopo un periodo di detenzione, è deceduto ufficialmente in Ucraina. Queste rivelazioni gettano una nuova luce sulle operazioni di intelligence russe, suggerendo un’attività ben più complessa e sfaccettata di quanto precedentemente ipotizzato.
Il giornalista investigativo russo Christo Grozev, intervistato da ’60 minutes’, ha rafforzato il legame tra Kovalev e i servizi segreti russi, aggiungendo ulteriori dettagli a un mosaico sempre più complesso. Nonostante ciò, la Russia continua a negare qualsiasi coinvolgimento nella sindrome dell’Avana, mantenendo una linea difensiva che contrasta con le crescenti evidenze portate alla luce dalle indagini internazionali.
Implicazioni globali e sfide future
Le rivelazioni su queste due vicende sottolineano le crescenti preoccupazioni riguardo l’uso di tecnologie avanzate e potenzialmente invasive nel campo dell’intelligence e della guerra informatica. La questione dei chip impiantati nel cervello, sebbene possa sembrare appartenere al regno della fantascienza, solleva interrogativi etici e legali significativi, in un’epoca in cui i confini tra tecnologia, sicurezza e diritti umani si fanno sempre più labili.
D’altra parte, la persistente ambiguità sulla ‘Sindrome dell’Avana’ e il suo collegamento con operazioni di intelligence straniere rappresenta una sfida per la comunità internazionale, chiamata a confrontarsi con le implicazioni di una nuova forma di aggressione invisibile, le cui conseguenze sulla salute degli individui sono tutt’altro che immaginarie. In questo contesto, le dichiarazioni di Edgreen e le indagini di Insider e Der Spiegel non solo forniscono nuovi spunti investigativi ma invitano a una riflessione più ampia sul futuro della sicurezza globale e sul ruolo delle tecnologie emergenti.