Il Recovery Ue: una corsa a ostacoli
Il Recovery and Resilience Facility, il cuore del Next Generation EU, non sta ottenendo i risultati sperati. Nonostante la Commissione europea abbia presentato una revisione intermedia con dati apparentemente positivi, la realtà è diversa. Gli investimenti pubblici sono aumentati solo dal 3% del 2019 al 3,3% del 2023, ben al di sotto delle aspettative. Studi condotti da istituti di ricerca di prestigio indicano che i fondi erogati hanno spinto il PIL dell’UE solo dello 0,4% nel 2022, a fronte del +1,9% atteso. Questo scenario solleva dubbi sul reale impatto del fondo europeo per la ripresa dal Covid, portando il Financial Times a chiedersi se non stia addirittura fallendo. L’invasione russa dell’Ucraina e l’impennata dei prezzi energetici hanno ulteriormente complicato la situazione, rallentando la ripresa delle economie europee. Questi fattori hanno contribuito a bloccare una parte degli investimenti previsti, con il 25% degli obiettivi ancora da raggiungere entro la fine del 2023. Tuttavia, parte della colpa per lo scarso impatto sul PIL ricade sui piani nazionali, che includono investimenti già in corso o finanziati autonomamente. Nel caso dell’Italia, ad esempio, i progetti esistenti rappresentavano oltre 51 miliardi su un totale di 191 miliardi di finanziamenti, riducendo l’effettivo impatto del Next Generation EU.
Il dilemma italiano e le sfide del Next Generation EU
La situazione italiana riflette le sfide che il Next Generation EU deve affrontare per garantire una crescita sostenibile nel lungo periodo. Sebbene il Commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, abbia sottolineato che l’impatto sul PIL nazionale sarà in linea con le previsioni europee, ciò rappresenta un taglio di due punti rispetto alle stime del 2021. Nonostante siano stati incassati 85 miliardi, resta incerto il reale utilizzo delle risorse. La mancanza di trasparenza è evidente, con la Relazione semestrale del governo ancora in sospeso e valutazioni ufficiali che risalgono al 2023, evidenziando un rallentamento nei pagamenti. Inoltre, i continui ritardi nel varo del decreto PNNR, necessario per attuare le revisioni richieste dall’UE, rappresentano un ulteriore ostacolo. Il piano Transizione 5.0 da 6 miliardi, ad esempio, ha incontrato difficoltà nel reperire le necessarie coperture finanziarie, posticipando l’approvazione del decreto. Nonostante la maggioranza si mostri fiera dei progressi raggiunti, con l’Italia in testa per numero di milestone completate, i tagli alla crescita previsti indicano una realtà diversa. Il confronto con altri Paesi, come Spagna e Croazia, non tiene conto dei differenti cronoprogrammi e non valuta l’efficacia nell’attuazione dei piani. La riduzione dei target quantitativi e i tagli a progetti chiave evidenziano le sfide che l’Italia e l’UE devono superare per garantire una reale ripresa economica.