I migranti nei Cpr d’Italia: una realtà fatta di condizioni estreme e inchieste giudiziarie
Le condizioni nei Centri per il rimpatrio (Cpr) italiani sono allarmanti e rivelano una realtà fatta di sofferenza e tragedie umane. Secondo la Relazione annuale del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, elaborata con i dati del Dipartimento di pubblica sicurezza, negli ultimi cinque anni sono morte ben 14 persone all’interno di questi centri. Quotidiani sono i tentativi di suicidio e gli atti di autolesionismo, a testimonianza delle condizioni estreme in cui vivono i trattenuti.I morti ‘di e nel Cpr’ sono individui spesso invisibili, persone che hanno perso la vita all’interno di queste strutture senza che poco o nulla si sappia delle circostanze. In media, si tratta di uomini di circa 33 anni, con storie tragiche che si sono concluse in maniera prematura. Le morti non sono casuali, ma spesso legate a situazioni di grave disagio e violazioni dei diritti fondamentali. La mancanza di assistenza sanitaria adeguata, le intossicazioni alimentari, le percosse e l’abuso di farmaci sono solo alcune delle problematiche documentate.
Le inchieste giudiziarie: Milano e Potenza sotto la lente d’ingrandimento
L’inchiesta a Milano ha portato al sequestro del Cpr di via Corelli, svelando una realtà fatiscente e disumana. La struttura presentava gravi carenze igienico-sanitarie, con presenza di topi, piccioni e cibo in condizioni pessime. Gli ospiti non ricevevano l’assistenza necessaria, nemmeno in presenza di gravi patologie. I video girati dagli stessi detenuti mostravano immagini scioccanti, evidenziando il degrado e la disperazione all’interno del centro.L’inchiesta di Potenza ha messo in luce un sistema basato sull’abuso e sulla violenza all’interno del Cpr di Palazzo San Gervasio. Gli operatori hanno raccontato episodi di pestaggi e maltrattamenti sistematici, evidenziando una vera e propria menomazione della dignità umana. La somministrazione massiccia di psicofarmaci, come il Rivotril, senza supervisione medica ha trasformato i migranti in veri e propri ‘zombie’, con comportamenti fuori dal comune come il ‘camminare in cerchio’. La ricerca di controllo attraverso la sedazione ha portato a conseguenze disumane e inaccettabili.